Libero, 29 ottobre 2018
William Pezzullo, il lui sfregiato da lei che non fa notizia
SIMONA PLETTO nnnDel suo caso si parla pochissimo, di quell’agguato sotto casa, di quel secchio pieno di acido gettato senza pietà sul suo volto e sul suo corpo. Uno sfregio che ha segnato per sempre la sua anima, la sua vita e quella dei suoi familiari, molto meno l’opinione pubblica. Forse perché la vittima, in questo caso, è un uomo. «Funziona così, della mia storia non si parla quasi mai». È lo sfogo di William Pezzullo, oggi 32enne, di Travagliato (Brescia), sfregiato sei anni fa dall’allora fidanzata Elena Perotti, condannata in via definitiva a otto anni per lesioni gravissime e di recente a un anno e sei mesi per stalking. Un’aggressione terribile come quella subìta da Lucia Annibali, da Gessica Notaro, da Filomena Lamberti. «In tivù, sui social, nei giornali», prosegue William, «siamo abituati a vedere l’uomo carnefice e la donna vittima. In questo gioco al contrario io non faccio notizia. E dire che il mondo è pieno di donne violente come la mia ex di cui non si parla quasi mai». William, a parte il volume basso del clamore mediatico, sul tuo caso si può dire che giustizia è fatta? «Da una parte ho avuto giustizia con la sua condanna, ma dall’altra no. Sì perché lei si è fatta pochi giorni di carcere ed è finita subito ai domiciliari, quindi si è rifatta una vita, si è sposata, ha due figli. Per assurdo vive a cinque chilometri da casa mia? Per fortuna non l’ho mai incontrata da quel giorno. In tribunale non è mai venuta. Comunque, la mia esistenza è diventata un inferno e a pagare sono solamente io, anche in senso concreto». Cioè? «Non ho ricevuto un euro di risarcimento dalla mia ex fidanzata, perché è nullatenente. Io non posso lavorare, non ho più nessuna fonte di reddito. La mia famiglia ha speso tutto quello che aveva da parte, ha dovuto poi fare debiti per affrontare tutte le spese mediche e legali. Decine e decine di migliaia di euro. Fino ad oggi mi sono dovuto sottoporre a 35 interventi, l’ultimo l’ho fatto il 18 settembre scorso e ne devo affrontare ancora tanti altri a pagamento. Se avessi avuto i soldi, oggi il mio viso porterebbe meno segni di quell’assurda notte». Cosa ricordi di quella sera del 19 settembre 2012? «Cerco di smemorizzare per andare avanti, ma non è facile. Ricordo che quella sera sulle undici e mezza stavo rientrando a casa. Avevo aperto un bar da poco, tornavo dal lavoro. All’improvviso ho visto queste due persone, avevano il volto coperto dai passamontagna; mi hanno buttato un secchio di liquido addosso. Subito non ho capito, poi mi sono reso conto che non avevo più i vestiti, erano corrosi. Sentivo bruciare ovunque. Sono riuscito a chiedere aiuto e a salire in casa, mi sono guardato allo specchio e sono rimasto scioccato. Da lì è iniziato il mio calvario tra ospedali e tribunali. Si è scoperto poi che la mia è stata un’aggressione premeditata. Entrambi erano ustionati, in casa sua i carabinieri hanno trovato anche la pentola con l’acido, e le ricerche che avevano fatto sul computer sugli effetti della sostanza». Ma cosa ha scatenato tanta rabbia? «L’avevo lasciata perché avevo scoperto che mi tradiva. Eppure lei non si rassegnava. La prima volta davanti ai miei dinieghi mi ha inviato una foto con l’esito positivo di un suo test di gravidanza. Siamo tornati insieme, era il gennaio 2011. Poi lei ha detto di averlo perso naturalmente e io l’ho lasciata di nuovo. A dicembre, dopo molti tentativi di rimetterci insieme falliti, mi ha mandato un’altra foto di un test di gravidanza. In quella occasione le ho risposto che se era davvero incinta, ne avremmo riparlato di lì a nove mesi perché io mi sarei assunto le mie responsabilità di fronte però a un esame del Dna. Nel frattempo mi ha fatto di tutto: mi ha bucato le gomme dell’auto, rigato la carrozzeria non solo della mia vettura, ma anche di quelle dei miei amici e parenti. Poi messaggi continui, minacce. Non mi sentivo più al sicuro nemmeno al lavoro. Una sera addirittura mi ha picchiato: lei faceva pugilato, io non ho mai reagito ovviamente?». Come trascorri oggi le tue giornate William? «Prima ero sempre attivo: andavo in palestra, frequentavo amici, lavoravo, mi divertivo come tutti i ragazzi di quella età. Oggi passo le mie giornate in casa, tra impegni medici, computer e poco altro. Mi pesa non lavorare, non essere più autonomo. Mi sono creato una palestra da casa, non posso andare più nella mia solita perché non vedo. Ecco, la vista è la cosa che più mi ha stravolto la vita. Non vederci è invalidante. Mi sono sottoposto di recente ad un intervento per il trapianto di cornea ma l’occhio destro non è tornato più quello di prima. Sono in un baratro che non finisce mai». Se la incontrassi per strada? «Sa qual è la cosa più strana di tutta questa vicenda? È che io non provo rabbia verso di lei. In parte l’ho perdonata per tutto il male che mi ha fatto. Devo farlo, per superare questo grande trauma. Penso però che la legge, siano donne o uomini le vittime, dovrebbe tutelare e aiutare maggiormente chi subisce questo tipo di aggressioni. Non può essere che uno ci rimette la vita, la salute e anche i soldi, per uscire da un incubo creato da altri che, come nel mio caso, sono esonerati da tutto o quasi perché dimostrano di non possedere nulla. Questo non è giusto».