la Repubblica, 28 ottobre 2018
Le divisioni dentro il M5s
ll caldo invito dal potente ufficio comunicazione è arrivato ieri mattina: scrivete post dove mostriamo la compattezza del Movimento e ricordiamo le cose fatte finora dal “governo del cambiamento”. E così uno dietro l’altro ministri e capigruppo hanno eseguito, con distensivi messaggi su Facebook. La spaccatura? Quale spaccatura? Solite invenzioni dei giornali. “Questa necessità di farci dire che siamo uniti dimostra l’esatto contrario, è un segno di debolezza. Specialmente i ministri del M5S sono profondamente turbati dalla leadership di Luigi Di Maio”, dice un membro del governo.
Già, il vicepremier, cui vengono rimproverate diverse cose: non comunicare abbastanza con i suoi; una certa tendenza accentratrice; non avere più una linea precisa da quando l’accordo con la Lega è stato siglato e quindi tenere tutti i compagni di partito e di governo nel limbo ("Matteo Salvini ha poche idee ma chiarissime, per questo i suoi gli vanno dietro tranquilli: invece Luigi è attaccato ai sondaggi, ormai parla in base a quelli. E sbaglia”, continua la gola profonda). Esempi pratici: sul condono di Ischia inserito nel “decreto Genova”, il leader ha messo in imbarazzo il ministro Sergio Costa, contrario al provvedimento; sul sì alla Tap, è avvenuta la stessa cosa ma con la ministra Barbara Lezzi, che ora si ritrova accusata di tradimento da mezza Puglia, la sua regione; oppure le indiscrezioni su un ipotetico rimpasto futuro con il possibile addio di Danilo Toninelli ("Mica è così scemo il ministro, lo sa che certe cose escono solo da Rocco...”, ovvero Casalino, quindi Di Maio).
Certificata poi l’irrilevanza politica di Beppe Grillo dopo il Circo Massimo – smentite le sue parole sul presidente della Repubblica appena sceso dal palco – anche il ruolo di Davide Casaleggio non sarebbe così centrale come in passato: sul palco romano della festa, chissà quanto scherzando, il comico genovese aveva abbracciato il figlio di Gianroberto dicendo “mi è rimasto solo lui, mi è rimasto sempre lui”, una sensazione di isolamento reciproca, si dice.
Il capo politico, definito “autoritario ma non autorevole”, ha poi altre spine del fianco in chiaro. Il presidente della Camera non fa passare un giorno senza dare di sé l’immagine di contraltare alla maggioranza giallo-verde. E poi i parlamentari vicini a Roberto Fico (da Paola Nugnes a Luigi Gallo, passando per Gregorio De Falco) che da giorni promettono battaglia a suon di emendamenti sui decreti di stampo leghista, una vera e propria opposizione interna. Poi gli altri eletti contrari alla Tap ("C’era poco da fare: Donald Trump ci ha dato la regia sulla Libia in cambio del sì all’opera”, spiega invece un altro esponente di governo del Movimento), le pressioni nei territori luogo di altre grandi opere che attendono le risposte definitive dalle famose analisi costi-benefici, l’inedito asse tra una ex del direttorio come Carla Ruocco e il senatore Elio Lannutti sulle questioni fiscali. “Gente che non tocca palla e quindi alza il prezzo”, liquidano il tutto i dimaiani.
Ma intanto il problema è lì e un altro è dietro l’angolo. Risponde al nome di Alessandro Di Battista. Il più movimentista del Movimento presto tornerà in Italia. Per fare cosa? Si racconta che la questione stia turbando il sonno del vicepremier. Quando quest’ultimo decise di concedersi la pausa sudamericana, l’amico oggi vicepremier non la prese benissimo, quasi fosse una sorta di diserzione davanti alla quale non poter neanche obiettare nulla formalmente, vista la natura e il peso di “Dibba”. Oggi un sondaggio di Gpf-Inspiring Research rileva come Di Maio e l’ex deputato siano in testa a pari merito come possibili futuri capo dei 5 Stelle. Un “Dibba” svincolato da mandati elettorali, con una certa libertà di manovra e di parola, potrebbe “bombardare” il quartier generale aumentando il proprio consenso. Allora – è il ragionamento successivo – meglio coinvolgerlo, sì ma come? Per uno come lui occorrerebbe un ruolo di primo piano. Dargli la guida del partito? Affidargli il ruolo di capolista nella battaglia europea del prossimo anno? Tutte questioni da affrontare nelle prossime settimane insieme allo stesso Di Battista. Anche se la domanda principale è un’altra: che ripercussioni avrà nell’equilibrio di rapporti con Salvini l’entrata in scena del terzo incomodo?