Avvenire, 28 ottobre 2018
Il Giappone passa da 20 a 60 permessi concessi a profughi ogni anno
Passo talmente piccolo da sembrare impercettibile o cambiamento epocale? Probabilmente entrambe le cose. Perché il Giappone, uno dei Paesi con le politiche di asilo più severe e restrivve al mondo, ha annunciato di voler raddoppiare, entro il 2020, il numero di ingressi. Fin qui siamo nel perimetro del cambiamento epocale. I numeri, però, ridimensionano la portata della svolta. Perché la terza economia al mondo, negli ultimi cinque anni ha concesso lo status di rifugiato a meno di 100 persone.
Nel 2017 su un totale di 20mila domande pervenute, solo venti hanno superato le maglie della rigidissimo sistema giapponese. Dal 2020 passeranno da trenta a sessanta. Un sistema rodato: i rifugiati, accettati nell’ambito dell’attuale programma di reinsediamento, rimangono a Tokyo per circa sei mesi per apprendere la lingua giapponese. Poi vengono trasferiti nelle aree in cui si stabiliranno, prevalentemente nelle zone rurali.
Secondo gli analisti sono due i fattori che hanno spinto da sempre il Giappone a sbarrare la porta degli accessi. Il primo è di carattere “nazional- sociale”: il forte senso di coesione “identitaria”. Il secondo è invece di natura geopolitica: la paura storica di un collasso di un vicino quanto mai scomodo – la Corea del Nord –, con tanto di successiva ondata migratoria. Eppure una accoglienza più generosa potrebbe tamponare la bomba ad orologeria che rischia di terremotare gli equilibri del Paese fino – nelle previsioni più catastrofiche – addirittura a mettere in gioco la sua stessa esistenza: la bomba demografica.
I numeri catturano la gravità del fenomeno. Il 2017 ha registrato il numero più basso di nascite negli ultimi 120 anni. Gli anziani costituiscono il 27% della popolazione giapponese (rispetto al 15% negli Stati Uniti).
Secondo le Nazioni Unite, negli anni Cinquanta, il tasso di fertilità del Giappone era di 2,75 figli per donna, al di sopra della soglia di 2,1, individuata come necessaria a mantenere una popolazione stabile. Oggi la situazione appare ben diversa. Il tasso di natalità è di 1,44 figli per donna.
È tutta la struttura sociale che sta rapidamente cambiando. Il Giappone è uno dei Paesi più densamente urbanizzati del mondo. Nel 1950, il 53% della popolazione viveva in aree urbane. Nel 2014, la cifra è salita al 93 percento. Con un effetto immediato: le città rurali stanno letteralmente scomparendo. La previsione del National institute of population and social security research è catastrofica: se la contrazione del tasso di fertilità continuerà, la popolazione giapponese diminuirà dagli attuali 126 milioni a 88 milioni nel 2065, a 51 milioni entro il 2115. Condannandosi all’irrilevanza.