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Sara e l’umanità del volley coltivata in provincia
Mentre i gemellaggi tra tifoserie hanno sempre una spiegazione, quelli tra città e paesi no. A volte sì: quello tra Langhirano (prosciutto) e Cavaillon (melone) è chiarissimo. Come quello tra Forlimpopoli, dove nacque Pellegrino Artusi, e Villeneuve-Loubet, dove nacque Georges Auguste Escoffier. Anche Godiasco-Salice Terme e Challes-les-Eaux ci sta, sono due località termali. Ma Brescia e Betlemme? Sondrio e la brasiliana Sao Mateus, Arese e l’ungherese Mosonmagyaróvár? Orgosolo e la maltese Birchircara? E cosa può accostare Vigevano a Ficarra e a Matera? O Carry-le-Rouet alla verdiana Busseto? Mi ha fatto pensare ai gemellaggi la lettura di Repubblica, ieri. La storia di Lodi, del suo sindaco, della mensa scolastica è purtroppo alquanto nota, non serve riassumerla. Con Lodi sono gemellate Fontainebleau (Francia) e Costanza (Germania). I due sindaci si sono parlati e hanno scritto una lettera a Sara Casanova, la collega di Lodi. Lettera dai toni pacati (“lontana da noi l’idea di erigerci a procuratori o giudici”) ma fermi nel ricordare la necessità di restare fedeli ai valori europei.
Presumo che anche per questo siano nati i gemellaggi, non solo per mangiate, bevute e brindisi ai valori europei. Frédéric Valletoux e Uli Burchardt fanno parte della destra moderata, non c’è il Che ad ispirarli. Stanno pensando di annullare il gemellaggio. «Vediamo come evolve la situazione, speriamo che a Lodi ci sia un ritorno al buon senso», ha detto Valletoux. Alla lettera, spedita lunedì, fino a ieri nessuna risposta. Forse è meglio, così. Sarebbe peggio se Sara Casanova chiedesse consigli ad Angelo Coccia sul bon ton europeo. Coccia è quello che va con una scarpa in mano a pestare le carte di Moscovici, filmato che ha fatto il giro del mondo e che ha spinto un tot di italiani sensibili a vergognarsi di essere italiani. Io non mi vergogno per nulla, semmai mi spiace che sia italiano Coccia, nonché parlamentare. «Cretino e fascista» l’ha definito Moscovici.
Non esageriamo, fascista forse no.
Non solo non mi vergogno, ma sono contento di essere italiano quando, come ieri, vedo una piazza piena di cittadini che protestano pacificamente, ironicamente, com’è successo a Roma davanti al Campidoglio. Nessuna bandiera di partito, tanti striscioni e tanto colore. Le “cattive ragazze” da cui è partita l’idea hanno fatto un bel colpo: 8. L’importante è non rassegnarsi.
Rassegnarsi solo davanti alla morte. Quella di Sara Anzanello, campionessa del mondo nel 2002, epatite fulminante in Azerbaigian, dov’era andata a giocare, nel 2013. Trapianto di fegato, ritorno in campo in B1, tumore al sistema linfatico. È morta giovedì, a 38 anni. Nell’unico giorno degli ultimi tre mesi in cui era uscita dall’ospedale di Niguarda si era fatta fotografare a braccia alzate, sorridente. «Sorridi per vivere. Vivi per sorridere». Questa la sua scritta sulla foto, pubblicata dalla Gazzetta. Non so quanti riusciranno a sorridere, martedì a Ponte di Piave. Lei la gente del suo mondo l’avrebbe voluta in tuta, al suo funerale, come andasse a un allenamento. E sarà un allenamento: alla forza e al coraggio. Sara è morta nella settimana che andava dall’argento delle ragazze azzurre all’inizio del campionato. Ha fatto in tempo a vederle sul podio. Avevano solo sfiorato quel che lei aveva vinto. Il salto della rubrica, domenica scorsa, mi ha impedito di dare un voto alle ragazze azzurre, in blocco. È 9, per il podio e per come ci sono arrivate, senza sgonfiarsi, come i maschi, quando cominciavano le partite più dure. Anzi, facendosi più toste e unite. In questa medaglia credo che una parte di merito sia da riconoscere a Julio Velasco: sua l’idea di formare il Club Italia.
Quando si vince qualcosa di importante, il discorso s’allarga sempre. Il rispetto dei ruoli, le motivazioni, la squadra multietnica. Tutto giusto. Io ho pensato che questa squadra giovane e forte, destinata a fare anche meglio in futuro, che ha riunito milioni di italiani davanti ai televisori conquistando anche chi non sapeva cosa fosse un bagher, s’allena e gioca in città piccole o paesi. Eccezione Firenze (Scandicci) e Milano, dove ha la sua base il Club Italia. Ecco qua: Filottrano, Casalmaggiore, Conegliano, Monza, Chieri, Busto Arsizio, Novara, Bergamo, Cuneo, Brescia, San Casciano in Val di Pesa. Può essere che nei piccoli centri sia più facile acquisire la giusta mentalità? In molte di queste squadre si respira un’aria di famiglia, qualcosa che nelle metropoli e negli sport ricchi non si respira più. Non sto introducendo di contrabbando il concetto che piccolo è bello, oppure sì, in parte, ma il concetto che piccolo è forte. È l’abbozzo di un discorso da approfondire e che tira in ballo non solo il piccolo e il grande, ma anche l’umanità e la bellezza. Ecco perché era impossibile non tifare per le ragazze azzurre, da Egonu a Malinov, da Sylla alla meravigliosa Moky De Gennaro, l’unica forse che non potrà riprovarci. Chapeau.