Pezzetti ragionò con Benigni del fatto che un finale tutto positivo non avrebbe rispettato i sopravvissuti della Shoah, gli avrebbe provocato grandi contestazioni. E poi lui stesso, Pezzetti, minacciò di abbandonare il ruolo di consulente del film che il regista gli aveva assegnato.
Pezzetti, 65 anni, autore del Libro della Shoah italiana, consulente del Centro contemporaneo di documentazione ebraica di Milano, oggi direttore del museo della Shoah a Roma, ricorda a Repubblica che per settimane visse in simbiosi con Benigni.
«Parlammo per ore e ore, mi fece un milione di domande. Poi alla fine mi disse "adesso basta, ci lasciamo, adesso faccio io", e terminò la scrittura del film».
Lo storico aveva già spiegato ad Haaretz che «dopo questa immersione totale nella storia dell’Olocausto, Benigni comunque mi presentò un finale del film in cui nessuno moriva nel campo di concentramento. Io gli dissi che dopo anni di studi non avevo mai trovato una storia di Olocausto con un happy ending».
Pezzetti conferma a Repubblica che fece altre obiezioni, per esempio facendo notare che mancavano molti aspetti della vita drammatica dei deportati nei campi. Lo storico convinse l’autore a mostrare la selezione e la separazione che veniva fatta all’arrivo nei campi fra uomini, donne e anziani. «Benigni non rappresentò i campi di concentramento realisticamente», dice oggi, «ma la sua era una interpretazione favolistica della Shoah, che realizzò con un profondo rispetto, un’opera che ha aiutato a far conoscere molto meglio l’Olocausto agli italiani».
Al momento di decidere il finale la scelta venne condivisa da Benigni perfino con le famiglie dei suoi collaboratori e con gli amici, che furono coinvolti per settimane nel dibattito. La maggioranza era per la salvezza. Guido/Roberto sarebbe dovuto rispuntare all’ultimo fotogramma dalla torretta del carrarmato americano. «Quando s’è mai visto un film di successo dove il protagonista alla fine muore?», diceva Cecchi Gori. «E invece nel Re Leone il padre muore!», ribatteva il figlio di 11 anni del compositore Nicola Piovani.
«Alla fine però io mi trovai costretto a suggerirgli di decidere comunque, di scegliere fra lui e il figlio, ma di decidere», ricorda Pezzetti. «Roberto fece morire il suo personaggio, Guido, lasciando vincere al figlio il “concorso” con il premio finale del carro armato». Fu il successo di La vita è bella, una favola fantastica che ha raccontato una tragedia orrenda.