Robinson, 28 ottobre 2018
James Patterson parla del suo ultimo libro e dei Trump «Nessuno di loro è il diavolo. Hanno degli obiettivi da raggiungere»
Con 400 milioni di copie vendute nel mondo (di cui quattro milioni in Italia) e un posto nel Guinness dei primati come unico autore a occupare 59 volte il primo posto nella best- seller list del New York Times, James Patterson può insospettire. “Troppo” popolare? Un fenomeno di proporzioni industriali, più che letterario? Ma in realtà alla terza intervista che gli faccio mi convinco sempre di più che a modo suo è un raffinato intellettuale oltre che un filantropo; un appassionato osservatore del suo paese oltre che un formidabile giallista. Torna in libreria con un’altra storia del detective Alex Cross, che stavolta deve salvare la propria famiglia nel thriller Il cuore dell’assassino, pedinato braccato e ricattato negli affetti più cari da un killer perverso. Ma l’attaccamento del romanziere verso questo suo personaggio ha un risvolto particolare.
Il rapimento della moglie e dei figli, la paura di non poter difendere neppure i propri familiari: siamo alle prese con l’angoscia più spaventosa che possa attanagliare un uomo.
«È l’occasione in cui un uomo scopre sé stesso, le cicatrici diventano profonde, è difficile salvare la propria dignità e pietà umana. Ma Alex Cross per me è speciale anche per un’altra ragione. Sono sempre sorpreso che sia il mio personaggio più amato dai lettori americani, nonostante sia un detective nero. Questo prende in contropiede i pregiudizi di tanti europei. L’America è razzista? Però noi avevamo eletto Barack Obama».
Un movimento come # BlackLivesMatter cerca di allertarci sul fatto che la questione razziale rimane una piaga aperta.
«La situazione è molto migliorata rispetto al passato; ma deve migliorare ancora. La polizia deve fare uno sforzo, ma lo stesso devono fare gli abitanti di certi quartieri degradati. Quando vedo i campioni di football afroamericani che boicottano l’inno nazionale per protesta, mi dico che potrebbero chiamare all’inizio delle partite 50 poliziotti e insieme fare un esame di coscienza sul problema».
Prima di questo libro, lei ne aveva scritto uno insieme a Bill Clinton. Non teme di essersi inimicato i suoi lettori repubblicani?
«Non me ne importa nulla. Conosco bene sia i Clinton che i Bush. Un po’ ho frequentato pure Trump e alcuni dei suoi figli. Nessuno di loro è il diavolo. Hanno degli obiettivi da raggiungere, sui quali posso essere in disaccordo. Certi talk show aizzano l’odio, e la nostra politica non è più quella di una volta: c’era un tempo in cui al Senato un giudice della Corte suprema passava con l’80 per cento dei voti, cioè un ampio sostegno bipartisan. Dovremmo essere capaci di ritornare a quel mondo».
Lei scrive thriller quindi la violenza è la sua materia prima. Che cosa pensa di come il pericolo della criminalità viene percepito dai cittadini?
«Se cominci a parlarne, allora tutti si dicono preoccupati. Se gridi al lupo, se agiti la paura, funziona. In realtà le cose vanno meglio quasi in tutta l’America, con alcune eccezioni come Chicago».
Nella sua attività di filantropo, l’aspetto più importante è la promozione della lettura tra i ragazzi. È una missione che ormai la impegna da molti anni. Perché?
«Se i ragazzi leggono sono capaci di pensare meglio, non sono facili prede dei manipolatori, di chi grida per seminare paura. Se i ragazzi non leggono, diventa molto più difficile per loro farsi strada nella vita. Noi abbiamo un grosso problema di semi- analfabetismo. In uno Stato come la Florida solo il 43 per cento dei ragazzi in quarta elementare raggiunge il livello standard che dovrebbero avere a quella età. Non sono dei veri e propri analfabeti, però hanno delle difficoltà di lettura e di comprensione».
Lei rischia di combattere contro un nemico molto potente: le distrazioni dei gadget digitali.
«Quelle colpiscono anche gli adulti. Sono in troppi a sprecare le loro vite su queste stupide macchine. Io non posso costringerli a staccarsi da quegli apparecchi. Però se riesco a fare di quei ragazzi dei lettori capaci, c’è una possibilità in più che sappiano governare meglio il proprio tempo, la propria attenzione, le proprie vite».
A pochi giorni dalle elezioni legislative di mid-term, una domanda obbligatoria: da che parte sta andando la sua America, dov’è diretta?
«Non bisogna essere troppo preoccupati. Nella storia di questa nazione c’è spazio per gli errori. Si fanno degli sbagli, poi li si corregge. Dopo Bush abbiamo avuto Obama. Sono più preoccupato per lo stato del mondo, quello sì. Perché certi errori fatti anche dall’America, ci stanno portando molto vicini a un punto di non-ritorno, quando salvare l’abitabilità della nostra terra non sarà più possibile».