La Stampa, 28 ottobre 2018
Nell’Italia dei tre condoni una casa su 5 è abusiva
Nel Paese dei tre condoni, se si esclude l’adulterio, l’abusivismo edilizio sembra il peccato più facile da perdonare. Nell’agosto di un anno fa il procuratore aggiunto di Catania Ignazio Fonzo ricevette una lettera. «Lei è cattivo e spregevole, ha fatto piangere tante famiglie», c’era scritto. La sua colpa: aver fatto rispettare la legge, ordinando le demolizioni degli edifici illegali quando era pm ad Agrigento. Fu aperta un’indagine, ma in quelle minacce era contenuta una sgradevole verità: abbattere un edificio illegale è una scelta impopolare nel Paese in cui una villetta a pochi metri dal mare non si nega a nessuno, tanto che dal 2004 a oggi è stato demolito solo il 19,6% delle 71.450 costruzioni colpite da ordinanza. Nella sua caccia agli alibi, intanto, la politica è passata dal vecchio concetto di «abusivismo di necessità» riferito alle case tirate su con due soldi per dare alloggio alla famiglia, a quello di «abusivismo d’indispensabilità», espressione coniata di recente dall’assessore al Territorio della Regione Sicilia, Salvatore Cordaro.
Abbattere non porta consenso. È per questo che solo una sparuta pattuglia di sindaci lo fa. Così, contando sulla tacita accettazione sociale, il fenomeno raccontato da Legambiente nel rapporto 2018 «Abbatti l’abuso», rallenta ma non scompare. Un caso per tutti: nel febbraio scorso a Punta Scifo, Crotone, poco distante dall’area archeologica di Capo Colonna, è stato sequestrato «un villaggio turistico travestito da agriturismo, con 79 bungalow, un gigantesca piscina e nessuna traccia delle attività agricole previste dal piano regolatore». Imprenditori e amministratori pubblici sono finiti sotto inchiesta.
Nel 2017 il Cresme ha censito nuovi 17.050 abusi, il 16% rispetto al totale del costruito. Un fenomeno di dimensioni enormi, che non si arresta. Dal 2005 al 2017 infatti, l’illegalità ha continuato a dilagare, portando dall’11,9% al 19,4% la percentuale di immobili abusivi nel nostro Paese, uno su cinque, concentrati soprattutto sulle coste e soprattutto al Sud, dove si trova il 47,3% degli edifici illegali: milioni di metri cubi che hanno sfregiato le aree più belle del Paese, con in testa la Campania, dove sono abusivi 50,6 edifici su 100. Uno su due.
L’isola dell’abusivismo
È emblematico il caso di Ischia dove il decreto del governo su Genova rende ora possibile la sanatoria degli edifici colpiti dal terremoto in un’isola che conta 27 mila pratiche di condono e 600 case gravate da ordinanza di abbattimento. «Nella capitale nazionale dell’abusivismo è un precedente pericolosissimo - avverte Stefano Ciafani, presidente di Legambiente - perché si tratta di un territorio fortemente sismico e a elevato rischio idrogeologico. Significa mettere un pericolo le persone che andranno a vivere in case, ricostruite coi soldi dei contribuenti in aree a rischio, che coi condoni successivi non sarebbero state mai sanate». La Campania del resto è disseminata di casi esemplari: fra Torre del Greco e Massa Lubrense, nel Golfo di Napoli, gli immobili con sentenza di abbattimento sono 3353.
A volte alla demolizione si tenta addirittura di sostituire il recupero. È accaduto a Castellabate, perla turistica in provincia di Salerno: qui l’Hotel Castelsandra, confiscato nel 1992 al clan Nuvoletta, «un ecomostro che deturpa uno dei luoghi più belli della Campania», è stato oggetto di un protocollo d’intesa sottoscritto da Comune, Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Soprintendenza.
I casi limite abbondano anche in Sicilia: a Termini Imerese le ordinanze sono 850, molte risalenti addirittura all’inizio degli Anni Novanta. In provincia di Agrigento su 36 mila istanze di condono, quasi diecimila sono riferite al solo Comune di Palma di Montechiaro: 12 a famiglia. Media analoga a Licata, dove le case illegali sono 17 mila. Qui la lotta agli abusi è costata un anno fa la poltrona al sindaco Angelo Cambiano, sfiduciato dal Consiglio comunale dopo il via alle demolizioni lungo la costa. Comuni difficili. Dove, come in buona parte del Sud, il problema della mancanza di alloggi popolari e degli sfratti è una ferita che alimenta il fenomeno.
A Palermo, nel quartiere Zen, dove fino a qualche anno fa la mafia forniva gas ed elettricità alle famiglie, adesso, come ha rivelato un’inchiesta della procura, la soluzione è stata la realizzazione di mini-appartamenti abusivi dentro i porticati dei palazzoni popolari. Sul fronte turistico e residenziale, invece, in Puglia meriterebbe una visita il villaggio di Lesina, con le sue 2800 villette illegali costruite su una lingua di sabbia che separa il mare dal lago.
Se a impedire nuovi scempi si è faticosamente provato grazie alle leggi per la tutela del territorio, cancellare decenni di costruzioni selvagge resta una missione impossibile. Dal 2004 è stato abbattuto solo il 19,6% degli edifici colpiti da ordinanza, e ancora una volta con la Campania maglia nera: solo il 3% di esecuzioni, nonostante il record nazionale di ordinanze di abbattimento (il 23%). A questo va aggiunto un dato, che riguarda l’acquisizione nel patrimonio comunale degli immobili abusivi non abbattuti: sono il 3,2%, un percentuale risibile.
Montagna di carte bollate
Impressionante è anche la mole di pratiche di condono edilizio inevase, che riguardano i tre condoni (1985,1994 e 2003): oltre 5 milioni su un totale di 15 milioni. «La prima conseguenza di questo ritardo è il mancato introito che i Comuni avrebbero utilizzato per opere di urbanizzazione e servizi, stimato di 21,7 miliardi di euro, equivalenti a 1,4 punti di Pil», spiega Sandro Simoncini, ingegnere, docente a contratto di Urbanistica e Legislazione ambientale all’Università La Sapienza di Roma e amministratore delegato di Sogeea, società specializzata in regolarizzazioni urbanistico-catastali. La causa di questo enorme arretrato, spiega, è soprattutto la fatica dei Comuni a evadere le pratiche: «Gli uffici tecnici sono invasi da richieste di permessi attuali, e riescono appena a far fronte a quelli. A Roma, per esempio, se si fa richiesta di procedura d’urgenza, viene lavorata in due anni. In altri Comuni magari servono 8-10 mesi: solo per prendere un prestampato e compilarlo». Le vecchie richieste restano così al palo, con un pericoloso effetto boomerang: «Non avere il censimento dell’edificazione “spontanea” penalizza le scelte dell’amministrazione che deve pianificare i servizi. Cioè: se io costruisco abusivamente un palazzo con cento abitazioni, in quella zona saranno necessari cento posti auto in strada, e gli altri residenti non li troveranno perché sono stati pianificati».
Per favorire le demolizioni Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente e ora parlamentare di LeU, ha presentato una proposta di legge che recepisce le richieste avanzate dall’associazione ambientalista, con «tre modifiche strategiche» alla normativa attuale: «La competenza sulle demolizioni passa dai sindaci, più condizionabili, ai prefetti; per evitare di inciampare sulla prescrizione mette alla base della demolizione la sentenza che accerta il reato, anziché quella di condanna del reo, e contro i ricorsi pretestuosi lo stop alle ruspe può arrivare solo da un tribunale»
«Contro l’abusivismo, fino all’abbattimento, e contro ogni forma di condono», si dichiara Luigi Pingitore, segretario generale dell’istituto nazionale di Urbanistica: «Rivendichiamo una azione pubblica corretta, ovvero il primato del piano urbanistico come possibilità per dare diritti a tutti. Dall’altra parte dobbiamo affrontare la situazione che è sotto i nostri occhi, una fascia grigia di urbanistica informale che deve essere rigenerata». È proprio su questo, sottolinea, che agiva il programma Casa Italia, poi ridimensionato dal nuovo governo, come pure il bando per le periferie, altro progetto finito al centro dello scontro tra Anci e Palazzo Chigi. E mentre il dibattito va avanti, le betoniere illegali continuano indisturbate a girare.