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 2018  ottobre 28 Domenica calendario

M9, il museo del lunghissimo Novecento

Non poteva essere diversamente: un museo dedicato al «secolo breve» bandisce quadri, statue, disegni, pezzi unici e irripetibili. Nel tempo della riproducibilità dell’opera d’arte, la fotografia e il digitale diventano i protagonisti. Per capirlo è sufficiente entrare nei pochi metri quadrati del rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale, ricostruito al secondo piano, per rivivere ansie, angosce ed emozioni. I suoni nel buio, i rombi degli aerei che si avvicinano, gli scoppi delle bombe. Le scritte alle pareti ordinano di «Non parlare», mentre si ascoltano le testimonianze di chi ha vissuto davvero quelle esperienze.
Questo è il risultato di un pomeriggio tra i capitoli della grande narrazione di M9, in un edificio di tre piani coperto da una trama di piastrelle di ceramica dai tanti colori. Firmato dallo studio berlinese Sauerbruch Hutton (presente anche alla Biennale di Architettura in corso in Laguna), non si innalza superbo ma spunta a sorpresa a Mestre, pochi passi da Piazza Ferretto, una ventina di minuti in tram da Venezia.
M9 significa Museo del Novecento, ma il sostantivo «museo» sta comunque stretto e i visitatori potranno rendersene conto personalmente dopo l’inaugurazione del prossimo 1° dicembre. Un progetto nato una decina di anni fa s’è trasformato in un ambizioso intervento di riqualificazione urbana nel quale la Fondazione di Venezia, originata dalla Cassa di Risparmio di Venezia, ha investito 110 milioni di euro. 
Guardiamo questo quartiere dall’alto: quattro nuovi edifici si affiancano all’ex convento di Santa Maria delle Grazie, trasformato in caserma dopo l’epoca napoleonica. Tutto è ispirato alla sostenibilità – pannelli solari, materiali ecologici, sistemi per il recupero dell’acqua piovana. Un reticolo con diversi ingressi e micropiazze, permeabile anche a chi vuole solo attraversarlo. Il palazzo più antico, con copertura di teli tecnici ad ali di libellula, si trasformerà in area retail, cioè sede di negozi e aziende con vocazione innovativa, diremmo smart. Le nuove costruzioni ospiteranno uffici e il museo vero e proprio: l’edificio a forma di cuneo che spicca sugli altri in questo angolo di Mestre, con il suo mosaico dalle tinte tenui, tasselli bianchi, rossi, arancioni, celesti.
«M9 è radicalmente innovativo per tre motivi – sottolinea il direttore Marco Biscione, proveniente dal Museo di arte orientale di Torino —. Primo: siamo di fronte al primo grande museo multimediale d’Italia. Secondo: lo spazio nasce con l’obiettivo di riqualificare un’intera area urbana. Terzo: siamo associati a un’area commerciale, strettamente connessa dalle corti; le entrate economiche di quest’area ci aiuteranno a sopravvivere in autonomia, una situazione che non si trova in Italia». Gli architetti Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton spiegano che il loro intento è stato infatti quello di «intrecciare il nuovo museo con la vita pubblica della città. Negozi individuali, locali e caffè – continuano – richiameranno i cittadini e possono costituire un luogo di aggregazione. Cerchiamo di trattenere gli abitanti nel centro cittadino e contrastare la tendenza ad aprire grandi centri commerciali nelle periferie. Le ceramiche policrome sulla facciata rispondono alla volontà di offrire materiali con qualità tattili e colori delicati che si mescolino con quelli che caratterizzano questa città. Allo stesso tempo diventano una nuova voce distintiva che annuncia chiaramente la presenza del nuovo museo».

M9 è composto di tre piani. Al piano terra troviamo un auditorium da 200 posti che sarà intitolato a Cesare De Michelis, l’italianista ed editore veneziano scomparso lo scorso 10 agosto, presidente del comitato scientifico. «È completamente trasparente e accessibile da tutte le parti, ospiterà anche il bookshop e un ristorante – spiegano gli architetti – mentre la circolazione all’interno del museo sarà facilitata da una generosa scalinata che collega i livelli». Niente eccentricità da archistar, spazi semplificati secondo un nuovo umanesimo, minimalismo gentile, pochi elementi di distrazione dai contenuti.
Il primo piano apre una porta sul «privato» degli italiani ed è dedicato alle trasformazioni della vita quotidiana, della casa, degli stili di vita, dell’alimentazione. Il secondo livello approfondisce la società, la politica, la cultura, l’economia, le trasformazioni collettive. Saliamo al terzo, l’ultimo, inondati da un torrente di luce. È riservato alle mostre temporanee: il 22 dicembre aprirà L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore, a cura di Denis Curti, direttore della Casa dei Tre Oci a Venezia, e realizzata da Civita Tre Venezie. «Non sarà solo dedicato al Novecento ma anche alla contemporaneità e al futuro», chiarisce Biscione. Perché il grande racconto di M9 inizia in realtà nel 1866, dall’annessione del Veneto al Regno d’Italia, e lambisce l’inizio del millennio, con l’11 settembre. Il «secolo breve», insomma, a sorpresa si presenta lunghissimo. Anzi, non è ancora terminato. «La nostra ambizione – spiega Giampietro Brunello, presidente della Fondazione di Venezia – è quella di restituire i riverberi odierni dei decenni scorsi, dalle scoperte scientifiche che hanno cambiato il nostro modo di vivere, alla tecnologia e alla cultura. La storia è una cosa viva».
La struttura espositiva di M9 è labirintica, molto novecentesca, appunto (pensiamo a Jorge Luis Borges e Umberto Eco). L’obiettivo non è quello di perdersi, ma di permettere al visitatore di costruire il proprio tracciato fra le decine di possibilità. Oltre seimila foto, 820 video, circa dieci ore di filmati montati, 500 «record» di materiale iconografico tra manifesti, periodici, quotidiani, 400 file audio, frutto dell’accordo con 150 fra archivi e istituzioni nazionali, dalla Cineteca Friulana all’archivio Luce, Rai, Cineteca del Friuli Udine, Aamod (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), Fondazione Gramsci. Il risultato non è certo accademico. Otto sezioni con schermi, pannelli touch, video, installazioni 3D, oculus (i visori per la realtà virtuale), realtà aumentata, documenti audio compongono una nuova enciclopedia 4.0 che si avvale dei supporti del nostro tempo, esplorando le frontiere dell’editoria. Scopriamo così il primo selfie, quello di un pilota della Prima guerra mondiale che riesce a riprendersi in volo, mentre un «ciclorama» (una proiezione circolare) ci racconta l’evoluzione della cucina, dalle pentole per la polenta al microonde. Su un tavolo touch selezioniamo gli ingredienti. E ancora: gli ambienti della casa, cento anni di vestiti, di pubblicità, di modelle, con un affondo sui luoghi di lavoro, dalle fabbriche agli uffici. I curatori di M9 stanno anche raccogliendo i filmini domestici girati in Super 8, ora sostituiti dai video degli smartphone. Spesso gli argomenti sono affrontati come un gioco: si riesce persino a verniciare il telaio di un’auto agitando le mani nell’aria grazie alla Leap Motion. Gli schermi Wow (il nome evoca l’impatto sullo spettatore) ricostruiscono le piazze della politica, dai discorsi di Mussolini ai comizi di Togliatti, agli Anni di piombo e alla contestazione. Si snodano i cortei, circondano lo spettatore, rimbombano gli slogan del ’68 in contrasto con le misurate parole dei discorsi di Aldo Moro. Un’articolata sezione è dedicata al paesaggio, dalla dimensione rurale ai capannoni, seguendo le alterazioni del territorio anche attraverso le cartoline e il cambiamento del linguaggio.
«Nei musei si legge “non toccare” – spiega Biscione – qui invece si deve toccare. Il nostro lavoro sarà quello di rinnovare continuamente i contenuti, in modo che il visitatore abbia voglia di tornare». L’ingente quantità di materiale a disposizione si rivolge a un pubblico ampio, dal ragazzo curioso allo studioso, mantenendo comunque una vocazione didattica: su molti pannelli troviamo l’età consigliata, il minutaggio, i temi, quasi accompagnando per mano il fruitore. Questo amalgama fra tecnologia e software di ultima generazione e concretezza didattica è stato realizzato da un comitato scientifico composto da Giuliano Amato, Walter Barberis, Aldo Cazzullo, Alberto Ferlenga, Guido Guerzoni, Paolo Peluffo, Tiziano Treu, coordinati da Gianni Toniolo e con la collaborazione di studiosi e giornalisti come Alberto Abruzzese, Irene Bignardi, Alessandra Carini, Simona Colarizi, Giuseppe De Rita, Antonio Foscari, Ernesto Galli della Loggia, Francesca Ghedini, Mario Infelise, Chiara Saraceno.
«Con M9 vogliamo dare un’opportunità alle menti più innovative – spiega Valerio Zingarelli, amministratore delegato di Polymnia, la società della Fondazione di Venezia che ha realizzato il progetto – e questo modello potrebbe essere replicabile in altre città dove la parte storica si trova accanto a quella moderna che vive delle nuove economie». Il museo infatti contribuisce a ridefinire l’identità fluttuante di Mestre e ad ancorarla al Novecento. La sua importanza è sorta proprio allora, luogo del terziario alle porte di Venezia, a fianco del polo industriale di Marghera. «Così Mestre – chiarisce Brunello – diventa parte di Venezia, con una vocazione diversa da quella turistica e si pone al centro della città metropolitana. Due entità complementari». L’attenzione al territorio e alla comunità non sembra porre ipoteche sul futuro. «Partiamo da Mestre ma guardiamo all’Italia intera e non solo», conclude Biscione. Il Novecento è ora.