Robinson, 28 ottobre 2018
Chicago, il trattato sul male di David Mamet
Dialogo di Stefano Massini con David Mamet
STEFANO MASSINI: «Guardare l’abisso senza distogliere lo sguardo. C’è una parte oscura, sporca, in ciascuno di noi. E credo proprio che di questo, io e te, dobbiamo parlare. Anche perché tutti e due veniamo dal teatro, a mio vedere un luogo critico per definizione, in cui si disseziona l’animo umano senza temere di trovarvi il peggio. Adesso un grandissimo drammaturgo come te ci regala un altro romanzo, Chicago, e non per niente è tutto un abominio di corruzione, alcol, violenza, sopraffazione: Sodoma e Gomorra versione anni Venti. Ebbene, mi sembra che il libro, David, sia una stupefacente inchiesta sull’essere umano, sulla degenerazione del nostro vivere in società. Forse hai scritto a tuo modo un trattato sul Male».
DAVID MAMET: «Sai cosa insegnano la tradizione e la Legge ebraica come fondamenti dell’uomo? Proprio quello che hai appena detto: c’è un lato oscuro in tutti gli esseri umani. L’ebraismo gli dà proprio un nome; yetzer ha ra (più o meno vuol dire l’istinto al male) o sitra achra, che è come dire l’altra faccia. È la moltiplicazione di cui parlava anche Sigmund Freud, quando divideva la mente più in tre parti: Ego, Id e Super Ego. Se ci pensi, ognuna di queste prospettive – ma anche la nozione cristiana di Satana – dà semplicemente forma a una verità umana universale: noi abbiamo dentro una capacità innata di fare del male. In fondo è la questione cruciale da cui nascono tutte le religioni. E con loro naturalmente anche il Teatro, il Dramma, che delle religioni è figlio. Hai ragione: la drammaturgia guarda al Male, che in scena si incarna in una forza avvolgente, distruttiva, che fa tutt’uno con la Natura Umana. È l’essenza stessa della tragedia».
MASSINI: «Ma nella tragedia si cerca la reazione al Male, la risposta: Oreste si libera dal diluvio di sangue che ha inondato gli Atridi, e porta la speranza all’umanità imbarbarita. Mi viene in mente che questo tuo libro arriva trent’anni dopo la tua straordinaria sceneggiatura de Gli intoccabili di Brian DePalma, dove Ness riusciva a sfruttare una falla del sistema di Al Capone, mettendolo in crisi. Era una specie di risposta positiva al Male. Adesso tu torni a quella stessa ambientazione gangster, ma è come se il tuo sguardo fosse cambiato: c’è molta disillusione».
MAMET: «Ho capito cosa intendi, ma ne farei una faccenda di generi. Vedi, Gli intoccabili era un classico gangster-movie: Billy Wilder diceva che in film come questi l’unica variante ammessa è se il cattivo di turno morirà in cima o in fondo ai gradini della chiesa. Aveva ragione, è così: in quel filone vince sempre il Bene, cioè la comunità sociale. Viceversa, nei film noir, c’è sempre in agguato una trappola. Pensa al mio film La casa dei giochi. Alla fine la disillusione di cui parli è una forma di saggezza: significa guardare le cose senza filtri, senza volerle per forza romanzare».
MASSINI: «E la chiarezza comporta anche ammettere i contrasti, le contraddizioni. Mi ha sempre colpito il fatto che Al Capone – il re del terrore – aveva una paura terribile delle iniezioni: quando gli diagnosticarono i primi segni della sifilide, si rifiutò di essere punto con la siringa. Dietro chi incute paura, c’è sempre una componente di strizza».
MAMET: «E di interesse. Torniamo a quello che dicevamo prima: la violenza e la propensione alla violenza sono parte di tutti noi, in modo più o meno conclamato. Poi subentra il guadagno di chi ne fa uso: i politici lucrano sul Male ( incitando alla violenza o contrapponendosi a essa, è più o meno la stessa cosa), e poi intascano i soldi che ne derivano. Di più: i criminali guadagnano meglio se trasformano la loro forza in qualcosa di meno spudoratamente criminale: e di nuovo sono i soldi a vincere».
«I maledetti soldi, che comprano tutto. Il romanzo in parte è una corsa al denaro, che sembra essere la vera legge, e condiziona la politica. Tu hai scritto un dramma stupendo come
Glengarry Glen Ross, in cui tutto girava intorno ai soldi: che rapporto hai col denaro?».
MAMET:
«Il denaro, Stefano, deve servire a comprare un paio di scarpe per tua moglie. Basta. Tu invece come te lo vivi?».
MASSINI:
«Come qualcosa che un tempo si vedeva, si toccava, e oggi non più. Oggi i soldi non sono più quelli di Al Capone che si contavano in banconote: non li controlli più, sono loro a controllare te. Sono fantasmi, giusto numeri su un computer».
MAMET: «Quanto a questo, segui il mio esempio: io scrivo con una penna stilografica, dopodiché batto tutto a macchina sulla mia adorata Olivetti. Questo è il massimo a cui arrivo in fatto di informatica…».
MASSINI: «Grazie per il consiglio. Torniamo al libro. A volte sembra quasi di osservare gli affreschi della Cappella Sistina: c’è un giudizio universale di assassini, ipocriti, traditori, venduti, esperti in risse di coltello…».
MAMET: «Il cuore del problema è dove nasce il brivido della delinquenza, cioè nella felicità – nell’ebbrezza – che ti porta a fare quella scelta. Mi spiego?».
MASSINI: «Certo, e mi interessa molto. Aggiungerei che ogni violenza è condizionata da un contesto. La Chicago che tu descrivi per esempio è un insieme di razze diverse. Ci sono gli irlandesi, gli italiani, e mille altri. In questo caso però sembra che lo straniero porti in primo luogo violenza, anche se è una violenza che nasce dal degrado».
MAMET:
«Non era tanto il degrado, quanto il fatto che fossero immigrati appena arrivati. A farli sviare sulla delinquenza non erano le condizioni reali, quanto il poco tempo per inserirsi».
MASSINI: «Spiegami».
MAMET:
«Guarda, l’America, di volta in volta, ha sempre vissuto gli ultimissimi arrivati come fonte di paura».
MASSINI:
«Però siete un esempio nella somma di culture diverse».
«Se vuoi, quello che ci distingue è che nel tempo abbiamo avuto a che fare con talmente tante ondate di immigrazione, da assimilarle a poco a poco tutte. Da noi, ogni ondata ha lavorato l’una sull’altra per creare una comunità che, pur evolvendosi, mantenesse il meglio non solo dei vari gruppi, ma delle intenzioni dei padri fondatori. Questo è quello che si chiama assimilare».
«Va da sé che l’informazione in questo ha un ruolo imprescindibile. E non per nulla oggi la violenza è soprattutto nei linguaggi. Ti chiedo: finirà per passare di moda?».
«Non credo, anzi ne sono certo: questo tipo di violenza non finirà mai. Hai fatto caso alla parabola di certi dittatori o demagoghi? Iniziano a volte contrapponendosi alla violenza, ma se li lasci crescere si trasformano poi nei più accaniti fomentatori d’odio».
«Torniamo così alle implicazioni emotive della violenza. Spesso si dimentica che fanno più danno le conseguenze psicologiche di un omicidio che non l’omicidio stesso. Nel tuo romanzo è evidente: i gangster vivevano incutendo paura, era la base del loro sistema».
MAMET: «Come d’altra parte del terrorismo. Concordo con te, la violenza è un motore di paura. Detto questo, le democrazie rispondono offrendoci un patto: in cambio di regole e di doveri, otteniamo un antidoto alla paura ovvero la certezza che i colpevoli verranno puniti. Ecco: il terrorismo rompe questo nesso fra crimine e punizione, si colloca fuori da esso dicendoti che violenza e paura continueranno anche se la vittima reagisce».
MASSINI: «Hai colto un ingranaggio molto profondo del nostro vivere moderno. Direi che è come nel tuo film La casa dei giochi, dove una psicanalista tenta di entrare nelle menti altrui. Sembra che tu faccia la stessa cosa: sei uno che scava nella mente altrui?».
MAMET: «Molto meno. Io sono solo un inventore di storie, tutto qui. Il fatto che io possa avere una certa abilità ed esperienza non vuol dire che io comprenda l’animo degli altri. Voglio dire, pensa ai compositori musicali: hanno un’intuizione e la esprimono nell’unico modo che conoscono, cioè sul pentagramma. Noi dopo sentiamo la sinfonia e diciamo “aahhh”, con la sensazione che la nostra cultura intellettuale sia stata elevata. Non è così: la musica ha semplicemente scavalcato i limiti della ragione, colpendo direttamente gli strati più profondi della nostra anima. È lo stesso con le storie: parlano all’anima, non alle menti».
MASSINI: «Mi piace che tu parli del tuo lavoro in termini di storie. Anche per me è la stessa cosa, al di là dei generi con cui poi le esprimo. Condivido molto la tua scelta di aprire la scrittura a forme diverse come il cinema e il romanzo. Ed è un peccato che a volte questo venga perfino equivocato come un tradimento del nostro percorso teatrale».
MAMET: «Sono sciocchezze: ogni forma è benvenuta se ti dà modo di condividere quello che vuoi dire. Io amo il mio lavoro, sentirmi impegnato a farlo e percepirne un ritorno. Tutto qui. O no?».
MASSINI: «Senza dubbio. Aggiungerei poi che la nostra epoca non ammette stupide barricate fra linguaggi: sono parametri davvero superati. È come la fissazione sul contemporaneo: credere che il presente possa essere ben raccontato solo fotografandolo così com’è. Tu invece lo fai con un romanzo sulla Chicago di un secolo fa».
MAMET: «Tengo sempre a mente una frase di Tolstoj: parlare di attualità è sempre un errore. Non c’è presente che non sia già stato, e non c’è passato che non si ripresenti, per il semplice fatto che la natura umana è perfettamente identica sia nel 2018 che ai tempi del Proibizionismo».
MASSINI: «A proposito di proibizionismo… Mi viene da farti un’ultima domanda, ma è molto personale».
MAMET: «Tentiamo».
MASSINI: «Il proibizionismo fu una valanga di divieti. Tu con te stesso fai i conti con dei no?».
MAMET: «Mi hai fatto una domanda bellissima, invece. Vediamo. Mi tocca dirti che con un lungo lavoro su me stesso e sulle mie paure, sono riuscito ad andare oltre i miei freni e i miei divieti. Peccato che quello che ti ho appena detto sia una colossale balla».
MASSINI: «E cosa mi dici della nostra civiltà del terzo millennio, in cui niente è proibito e tutto permesso?».
MAMET: «Ti dico che si chiama benessere. E ahimè, nessuna civiltà è sopravvissuta al proprio benessere. Certo: se non muori di benessere, finirai comunque a ko nella sfida col tempo. Ma che te ne parlo a fare? Sei italiano, e l’Italia ha alle spalle la civiltà più dura a morire. Quanto a questo, ci insegnate a tutti. Dio vi benedica». ?