il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2018
Intervista a Patty Pravo
“Io? Io sono un essere”. Senza troppe definizioni, restrizioni, stereotipi o facili salvagenti per incasellare una persona. Lei è Patty Pravo, dove neanche l’età esiste, solo storia presente, passata e futura (“perché la mia vita è il palco”), con 55 anni vissuti dentro un personaggio nato a metà degli anni Sessanta e celebrato sotto ogni sfumatura artistica, sociale (“le donne mi dicono ancora grazie”), personale, per chi ha attraversato intere epoche, e non ha visto, ma vissuto. Ora esce con Patty Pravo live, un doppio Cd per rivivere i concerti al Teatro La Fenice di Venezia e al Teatro Romano di Verona.
Oramai tutti i suoi brani hanno una storia importante alle spalle.
Ogni canzone apre un file della memoria, come Ragazzo triste, scritta insieme a Gianni Boncompagni durante una scorribanda intorno al Raccordo Anulare di Roma, noi stipati dentro a una Fiat 500.
Lei non era d’accordo sul titolo.
Non lo capivo, eravamo felici e spensierati, contestavo questa tristezza; ma lui irremovibile replicava: ‘È il periodo beat, va di moda’.
È vero che ha in mano l’ultima canzone di Califano?
Eccome! Un gesto bellissimo, lo ha scritto nel testamento; ora è lì, presto intendo inciderlo, ma subito dopo l’uscita del mio prossimo cd di inediti.
Il Califfo…
Ci conoscevamo dai primi anni Settanta, un uomo molto simpatico, intelligente, buono e anche bellissimo…
C’è sicuro un “ma”…
A suo tempo mi ha fregato la segretaria, una francese meravigliosa in grado di parlare molte lingue: non ha resistito a sedurla, se l’è portata via, con lei presissima.
Era irrefrenabile.
Il vero Califfo.
Anche con lei?
Non ci ha provato, ha lasciato perdere, gli è bastata la segretaria.
Quando nei talent i ragazzi portano i brani cantati da lei, sono dolori.
Perché sono canzoni che vanno interpretate, devi offrire la tua visione, non puoi fermarti all’orecchio…
Si impara?
Quasi impossibile, o certe sensibilità le hai di natura, fanno parte del tuo animo d’artista, o è inutile (riflette) ah, secondo me lo stesso può accadere con Francesco.
De Gregori.
È un fratello: una presenza artistica non comune.
È Diva
Certo.
Né uomo né donna.
Infatti sono un essere, però musicalmente mi reputo solo una buona interprete.
Gigioneggia.
No, lo penso: sono nata per stare su un palco, lì sopra mi trasformo, azzero tutto, dalle malinconie ai dolori fisici.
Anestetizzata.
Ricevo amore, e lo restituisco, godo e loro altrettanto; certo il piacere cambia a seconda del tipo di tournée, di periodo musicale, di pubblico.
Ha segnato anche uno stile, in qualche modo è stata ed è un’influencer.
Io? (E fa le corna, più volte) Non ho l’influenza.
Influencer.
La febbre non mi viene mai e mi sono preoccupata; cos’è quest’influencer?
Chi condiziona le scelte altrui.
Forse all’inizio, in particolare con le donne, a loro devo molto, soprattutto dopo La bambola; ci si riconoscevano, sia per il testo, che per il mio modo di truccarmi.
L’emancipazione.
Lo spero, e ancora oggi molte mi esprimono stima; forse si sono sentite più libere.
Di divorziare…
Ma neanche dovevano sposarsi, a che serve?
Parla lei? È andata all’altare quattro volte.
Perché me lo hanno chiesto, hanno insistito, quindi li ho accontentati: un periodo per ognuno ma un anello unico per rappresentarli (e mostra una fede al dito medio).
È in buoni rapporti?
I grandi amori restano.
È bugiarda?
Non ci penso proprio, troppa fatica, e poi non ricordo quasi mai nulla.
Poca memoria?
Per i nomi, zero.
I visi?
Lì sono micidiale, non dimentico nulla, anche chi ho incontrato una sola volta, tanto da causare delle scenette memorabili all’aeroporto: saluto persone convinta di conoscerle, mentre magari ci ho preso l’aereo in appena un caso e anni prima.
I testi?
Posso aiutarmi con il gobbo, ma preferisco sbagliare o dimenticare una parola, così la performance è più vera.
Verità o leggenda: lei ha ricevuto l’ultima telefonata di Hendrix prima di morire.
Verissimo, era stanco del suo personaggio ribelle, non voleva più rompere le chitarre sul palco, ma sognava di suonare con un’orchestra.
Crisi totale.
Voleva cambiare musica ma gli era vietato dai manager, e per questo era giù di morale, non ne poteva più. Spesso le persone non capiscono qual è l’animo di un artista.
Non lo rispettano.
Non comprendono il lato da bambino da salvaguardare.
E lei lo protegge?
(Si finge bambina, sbatte le mani con tempi sincopati) Per fortuna il pubblico mi ama sempre.
La sua prima sigaretta a dieci anni.
E non intendo smettere.
Non le danneggia la voce?
Anche Sinatra non ha mai abbandonato il pacchetto, e io amo solo le Marlboro rosse, e come me Giorgia: siamo diventate amiche grazie a una sigaretta regalata da lei a me; quel giorno mi ha salvato dall’isteria.
Guida la macchina?
Sì, ma solo Porsche 911 S.
Sportiva.
Amo la velocità, mi metto lì e spingo; oddio, oramai ho smesso, non si può più correre, mica come prima.
(Quando con Boncompagni andava sul Raccordo. Ma allora almeno era una 500…).