il Giornale, 27 ottobre 2018
«Volevo fare il telefonista». Intervista a Maurizio Mattioli
Maurizio Mattioli, classe 1950, è uno dei più grandi protagonisti della commedia italiana. Durante la sua carriera ottiene molti ruoli teatrali e cinematografici, lavora con registi del calibro dei fratelli Vanzina, Paolo Genovese e Maurizio Casagrande. In molti lo ricordano come Augusto dei Cesaroni. Sin da ragazzino sa far ridere, una simpatia travolgente e la sua vena comica trova presto spazio nella compagnia del Bagaglino.
Ci sembra da sempre un buongustaio, che rapporto ha con il cibo?
«Io mangio molto, lo sanno tutti. Una volta, dopo gli spettacoli teatrali si andava a mangiare tutti insieme, dopo la mezzanotte, ora invece andando avanti con l’età bisogna darsi una regolata e seguire un’alimentazione equilibrata».
L’appuntamento a tavola è ancora un momento conviviale?
«Io purtroppo ho una famiglia un po’ ridotta: siamo io e mia figlia, ho perso mia moglie e non sono più un girandolone, però capita per lavoro di incontrarsi con gli amici a cena. È un momento per farsi un sorriso, raccontarsi qualcosa».
È da poco uscito il film di Stefano Anselmi...
«Non è vero ma ci credo è una favola a lieto fine che si può andare a vedere la domenica con la famiglia. Ho accettato con grande piacere di recitare questo ruolo, è una commedia allegra e piena di sorrisi».
È stato uno dei pochi a lavorare con Veronica Lario, in Magnifico cornuto di Enrico Maria Salerno. Che ricordo ha?
«Veronica è una bella persona, pulita, mi ricordo che eravamo senza soldi e che a Bologna spesso cucinava per noi sua madre».
Se dovesse fare l’ultima telefonata della sua vita?
«Avrei un paio di persone da chiamare, ma per prima cosa telefonerei a mia figlia».
Con quale regista le piacerebbe lavorare?
«Paolo Sorrentino».
C’è una persona che si sente di ringraziare?
«I fratelli Vanzina perhé mi hanno aiutato quando ne ho avuto bisogno».
Che rapporto ha con la fede?
«Sono un cattolico non praticante, ho un rapporto intimo e solitario con la fede, prego tutti i giorni».
Come ha affrontato il dolore della perdita di sua moglie?
«È rimasta paralizzata sette anni dopo un incidente. Ciò che mi ha fatto soffrire più di tutto non è stata tanto la mancanza, quanto non poter decidere della sua vita: lei avrebbe voluto e potuto morire prima, è stata una sofferenza fisica ingiustificata».
È stato arrestato e poi assolto per droga. L’Italia è un Paese che perdona?
«Sì, ma negli anni ’70-80 le persone venivano arrestate anche per la soffiata di un mafioso, se un pregiudicato diceva qualcosa. In quel periodo ci sono stati diversi suicidi».
Meglio il cinema o il teatro?
«Per certi aspetti il teatro è più intimo e raccolto, permette un rapporto ravvicinato con il pubblico».
Se non avesse fatto l’attore, quale lavoro avrebbe fatto?
«Probabilmente il telefonista, mi ero iscritto al colloquio per ottenere il posto, ma alla fine non mi sono presentato».
Un episodio OFF della sua carriera...
«Riguarda Lando Fiorini: ogni anno mi chiedeva di prendere un caffè, diceva di volermi vedere perché facevo ridere. Dopo ogni caffè la stessa frase: ti faccio sapere. Al terzo anno ho pensato: tutti questi caffè non ci faranno male? E poi mi ha preso per lavorare con lui».