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 2018  ottobre 27 Sabato calendario

Storia di Noor Inayat Khan, la musulmana eroina d’Inghilterra

Pochi giorni fa la stampa internazionale ha pubblicato la notizia che la Gran Bretagna potrebbe emettere una nuova banconota di 50 sterline con il volto di una musulmana. È possibile che qualche nostalgico conservatore abbia alzato il sopracciglio, tenuto conto che la gloriosa moneta ha sempre recato immagini di sovrani o di illustri statisti. Ma sarebbe una perplessità ingiustificata. Perché la ragazza in questione è stata un’eroina della seconda mondiale: un esempio di sacrificio e di coraggio, peraltro condiviso con le altre donne del Soe, il servizio segreto per le operazioni speciali creato da Churchill per «mettere a ferro e a fuoco l’Europa» occupata dai nazisti. Con Noor Inayat Khan, il Regno Unito onora queste valorose, tredici delle quali morirono dopo una straziante prigionia. 
MISTICISMO
Noor significa luce della femminilità. Khan è il suffisso dei nobili, e lei lo era davvero: discendeva da Tipu Sultan, il sultano del Mysore, ultimo sovrano musulmano dell’India meridionale e intrepido guerriero. La madre era americana. L’intera famiglia aderiva alla setta Sufi, che praticava il misticismo e predicava l’uguaglianza, l’amore e la pace. Noor avrebbe dimostrato che queste virtù potevano esser coniugate con l’ardimento e, se necessario, con la battaglia fino alla morte.
Era nata il giorno di Capodanno del 1914 tra le mura del Cremlino, dove suo padre era stato invitato dal figlio di Tolstoj. Ma crebbe a Parigi in una villa a Suresnes, che ancor oggi ne reca le tracce e le memorie: gli strumenti musicali, i mobili orientaleggianti, e i libri di meditazioni. Il sufismo, in effetti, più che una religione è una filosofia, e in quell’ambiente contemplativo tutti si riunivano la sera per suonare e riflettere. Nel frattempo, la ragazza si manteneva scrivendo novellette per bambini, che leggeva alla radio. Quelle reperibili sono di delicatezza squisita.

L’OCCUPAZIONE
Nel 1940 la Francia fu occupata dai nazisti. Noor, cittadina del Commonwealth, si rifugiò in Inghilterra, e fu inserita nelle Fany, un’organizzazione di ausiliarie militari. Era bilingue, e questo la segnalò al Soe, che necessitava di agenti da spedire in Francia. Fu avvicinata da Selwyn Jepson, abile reclutatore di spie, e si sottopose al durissimo addestramento di radio operatrice. Il suo istintivo pacifismo le faceva odiare le armi, ma la brutalità di Hitler la convinse che senza la spada anche la giustizia è impotente. Comunque si sentiva più a suo agio con i messaggi in cifra che con le bombe da piazzare. Alla fine del corso, il suo istruttore ne elogiò la determinazione e l’impegno, ma aggiunse: «Non è propriamente un genio». Al che Maurice Buckmaster, responsabile del Soe in Francia, replicò: «Non è di geni che abbiamo bisogno». E con questo viatico benaugurante, Noor fu spedita ad Angers, a bordo di un Lysander, il minuscolo aereo che faceva la spola tra Tangmere e l’Europa occupata. Tangmere è oggi un piccolo museo dell’aviazione, retto da dignitosi gentiluomini: è emozionante visitare quel campo da dove partivano «le squadriglie della luna». Ancor più suggestivo è il terreno di atterraggio, a Le Vieux Briollay: passeggiandovi di notte, con un po’ di fantasia, si sente il rumore del Lizzie che trasportava un patrimonio di audacia e di valore. La Storia si impara sui libri, ma il suo fascino si respira solo sui luoghi.
Noor arrivò in un momento drammatico per la Resistenza francese. La Gestapo aveva arrestato quasi tutti i membri della regione parigina, e lei era rimasta l’unica operatrice sul campo. Le fu intimato di ritornare, perché era stata individuata e il cerchio si stringeva. Lei rifiutò e, cambiando identità e rifugi, continuò a trasmettere. Alla fine, nell’Ottobre del 43, fu venduta e tradita – sembra quasi paradossale – per un banale motivo di gelosia femminile, un epilogo che stupì persino i tedeschi. Fu portata nella sede della Gestapo in Avenue Foch, e interrogata da Hans Kieffer, il capo del Sicherheitsdienst esperto nell’intercettazione dei messaggi e nella conversione dei prigionieri. Non fu torturata, anzi fu trattata con un rispetto quasi cavalleresco. Forse Kieffer sperava di convincerla a collaborare, ma si sbagliava.
 
COME L’ACCIAIO
Noor era, secondo la definizione del suo capo, «forte e flessibile come l’acciaio». Per prima cosa domandò di un bagno. Le fu concesso, si chiuse dentro e cercò di scappare dalla finestra del quinto piano. Le SS sorrisero di tanta ingenuità ma non la punirono. Fu rinchiusa in una delle stanza della soffitta, vicino alle celle di altri due prigionieri, con i quali organizzò subito un’altra fuga. Si procurarono un cacciavite, e con infinita pazienza scardinarono una grata. Da lì passarono sui tetti di una Parigi addormentata, che non si sarebbe accorta di nulla se in quel momento un’incursione aerea non avesse fatto suonare le sirene e allarmato le guardie. I tre furono catturati quando ormai erano sulla strada. Kieffer chiese a Noor la promessa di non tentare più una simile avventura. Lei naturalmente rifiutò.
 
L’INTERNAMENTO
L’esasperato ufficiale interpellò Berlino, e la risposta fu immediata: trasferimento in carcere duro. Noor fu spedita a Pforzeim in una prigione che reca ancora, nei registri, il suo nome di internata. Fu tenuta in catene giorno e notte senza potersi muovere; una guardia che ne aveva tolto i ceppi fu trasferita in punizione. Non si lamentò mai: di tanto in tanto, comunicando con le altre detenute delle stanze vicine, le incoraggiava con la certezza della vittoria finale. Ma lei non la vide. Nel Settembre del 1944, quando la sua Parigi era già stata liberata, Noor fu spedita a Dachau. Vi rimase poco: dopo qualche giorno fu portata sotto un muretto, fatta inginocchiare, e ammazzata con un colpo di pistola. Le sue ultime parole, riferite dagli stessi aguzzini, furono: «Liberté».
Dopo la guerra le furono conferite varie onorificenze postume. A lei, come a Violette Szabo, Odette Sansom e altre leggendarie ragazze del Soe, furono dedicati libri e film: attrici come Virginia McKenna, Barbara Hershey e Cate Blanchett ne hanno interpretato i ruoli con lodevole fedeltà. Ci conforta il fatto che il mondo anglosassone non dimentichi le sue eroine, e che rinnovi il ricordo di Noor Inayat Khan persino nella circolazione della sterlina. Quanto all’euro, anche noi dovremmo fare altrettanto. Almeno finché ci restiamo dentro.