Tuttolibri, 27 ottobre 2018
I libri del Capitano. Intervista a Francesco Totti
Probabilmente è mitografia. Come Ercole che strozza le serpi in culla per annunciare che sarà fortissimo, così Totti debuttò a otto mesi spingendo con i piedini sulla spiaggia sassosa il SuperSantos che gli aveva regalato il babbo. (Per chi mancasse di memoria vintage quell’attrezzo è l’icona eterna della palla tonda). Comunque, leggenda o non leggenda, Francesco era predestinato. E la bella autobiografia che ha scritto in tandem con Paolo Condò, Un capitano, racconta quarant’anni al servizio di uno sport, di una squadra, di una fascia. Si parte dai primi dribbling nelle corti di Roma, quando le porte si facevano con le saracinesche abbassate dei negozi (e la gente non era felice perché ogni gol provocava gran casino) e si decolla con il racconto di una vita che se non fosse eccezionale sarebbe normale, per la generosità, la schiettezza, la simpatia che il capitano profonde in ogni aneddoto. Le emozioni, i big del calcio, «i cucchiai», si miscelano con ricordi (persino il Papa che gli carezza i boccoli ), la mamma premurosa, l’amore per Ilary, gli scherzi, i valori… L’aggettivo che più ricorre, è «timido», perché Totti non cela che questa è la caratteristica principale del suo carattere, nonostante i bagni di folla. L’altra qualità (la scopre il lettore) , è quella dell’ironia, anzi, quella ancora più rara dell’autoironia (è meglio del fiuto per il gol, perché resta tutta la vita). La formazione culturale avviene attraverso il televisorino in camera con CHipS («che conteneva i sogni dell’epoca: due poliziotti americani di pattuglia in moto sulle autostrade della California») Magnum, P.I. e Holly e Benji («non conosco giocatori che da bambini non si siano divorati i cartoni dei piccoli calciatori giapponesi»), e soprattutto con «la strada», dove la gente è comunità. La parola «libro» compare due sole volte. La prima è quando la Roma vince lo scudetto. Nello spogliatoio, in mezzo al delirio di festa, c’è Nakata che legge un libro («marziano»). La seconda siamo nell’albergo della Nazionale a Berlino. Gran parte degli azzurri sono rintanati a smanettare la playstation. Fa eccezione Amelia, chiuso in stanza con un libro. «Di che parla?» gli chiede Francesco. «Filosofia. Un po’ perché la sto studiando, un po’ perché magari mi fa venire sonno». Commento da 10 (e lode): «Amelia è il numero uno, perché sta leggendo un libro».
E Lei, Totti, qual è il primo libro letto?
«Il piccolo principe, questo me lo ricordo bene».
Sua madre le regalava libri da bambino?
«Non mi sembra, o almeno non ne ho memoria. Se la cavava con Topolino, e a me andava benissimo».
C’erano libri nella casa dell’infanzia?
«Non c’era una libreria vera e propria, ma ricordo un armadio pieno di enciclopedie, dalla Treccani a quelle geografiche illustrate. I miei erano patiti dei fascicoli, non dico che le facevano tutte ma quasi. Quando papà tornava a casa con un volume rilegato la sua sistemazione nell’armadio era una specie di rito cui tutti assistevamo».
Il libro che più ha amato nella vita?
«Non posso dire di aver amato un libro in particolare, perché onestamente ne ho letti pochi. Però Va’ dove ti porta il cuore’ che ebbe grande successo quando avevo vent’anni - e confesso di averlo comprato per questo - mi commosse molto».
La lettura più importante del periodo scolastico?
«Leggevamo solo antologie, non libri interi. Premesso questo, i passi dai Promessi Sposi avevano un senso più profondo degli altri. Capivo perché me li facevano leggere».
Un libro mai letto che prima o poi vorrà leggere?
«Facile, Open di Agassi. Lavorando sul libro Paolo Condò mi ripeteva ogni giorno che dovevamo fare assieme l’Open italiano. A questo punto voglio capire se ci siamo riusciti».
Se non fosse Totti, c’è un personaggio della letteratura che le piacerebbe essere?
«Ulisse trovava sempre il modo di cavarsela con qualche pensata originale. In campo ero come lui».
Nei ritiri si portava libri da leggere?
«Francamente no».
Ci sono libri in casa sua?
«Ilary legge molto, soprattutto la sera a letto, prima di addormentarsi. E quindi i libri adesso ci sono».
Dove tiene i libri su di lei?
«In una libreria apposita».
Ha regalato un libro per sedurre?
«No. Prima di sposarmi, quando ero libero, generalmente me la cavavo senza».
Ha regalato un libro a Ilary?
«Io no. Ilary sì, ma è furba: mi regala libri che interessano a lei, thriller soprattutto, così se li legge».
Ai suoi bambini da piccoli leggeva a voce alta?
«No, perché Cristian soprattutto voleva sentire le mie storie da calciatore. Allora io gliele raccontavo, ma non lui non s’addormentava, anzi. Veniva sonno prima a me».
Compra libri ai suoi figli?
«Certo, tutti gli Harry Potter e altri libri per ragazzi. Chanel legge moltissimo, e di tutto. Le piace da matti».
A che cosa serve un libro?
«Ad aprire la mente, ad allargare il vocabolario e a farsi venire qualche curiosità».
Se vede la copertina del suo libro in vetrina che sentimento prova?
«Mi emoziono. Penso che lì dentro c’è la mia vita, e la cosa mi affascina. Mi metto nei panni del tifoso, o anche del semplice lettore, che prova la curiosità di conoscere la persona Francesco. Mi lusinga».
Che libro sta leggendo?
«Dal giorno dell’uscita Un capitano è fisso sul comodino. Dopo averlo riletto bene nelle bozze, prima di dare l’okay alla stampa, adesso mi piace saltare di qua e di là, per aiutarmi a ricordare una persona, una partita, una situazione. È dolcissimo».
Le piace leggere?
«Inutile fingere di essere stato un gran lettore, fin qui non è stato il mio passatempo preferito. Però il libro sulla mia vita segna un nuovo inizio, d’ora in poi leggerò di più. Ho appena iniziato una specie di seconda vita, ci sta che la riempia di cose differenti dalla prima».
Per leggere serve concentrazione, come per tirare un calcio di rigore: le sembrano due cose simili?
«Direi di no. La concentrazione è fondamentale in entrambe le situazioni, ma nel leggere non c’è competizione. Nessun peso ti grava sulle spalle, come succede invece con un calcio di rigore importante».