Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  ottobre 27 Sabato calendario

Intervista a Raffaele La Capria

È la ricerca di una continuità che non c’è più a spingere Raffaele La Capria oltre i margini angusti del suo presente. Gli occhi vispi di chi ha già tutto visto, capito, digerito, assorbono un entusiasmo infantile e commosso per l’ovvio: il colore del mare, il tramonto, il gelato alla crema. Capri e il bel tempo che fu. I premi letterari, i tanti libri, l’essere stato un autore di riferimento ma celebrato mai abbastanza. Un passato che lo fa aprire al presente. Per questo ha accettato la presidenza onoraria del Premio Malaparte, ritornato a nuovo splendore grazie a Gabriella Buontempo discendente di colei che il premio inventò, la magnifica Graziella Lonardi Buontempo, «una dea che passava per la nostra gioia» e alla famiglia Pontecorvo, napoletana, che molto investe in cultura, una realtà virtuosa del territorio. 

Eccoli anno dopo anno, con il sapore del week-end tra amici, il parlare tra simili una lingua comune, facezie di garbo, la risata che ha un retaggio caro. La Capria e con lui Silvio Perrella, amicizia giovane e profondissima, un libro insieme, discussioni senza fine a cavallo tra letteratura e amenità varie subito dimenticate per far spazio al nuovo. La Capria, che come dice Trevi avrebbe meritato il Nobel. La Capria che si concede il lusso, pericolosissimo per chi ha appena compiuto 96 anni, di compiere un viaggio a ritroso nel tempo, un memoir intriso di grazia e levità, Il fallimento della consapevolezza (Mondadori), ovvero gli anni della sua formazione tra i condizionamenti del Ventennio, l’ideologia comunista e l’euforia per i maestri: Proust, Kafka, Faulkner che molto influenzò anche Richard Ford, il Premio Malaparte di quest’anno.
La Capria, lei sostiene di provenire da un’epoca che non ha avuto maestri e che oggi il discorso è diverso. Giusto?
«I maestri del mio tempo erano stati oscurati dal fascismo. A noi arrivavano flebili echi di mondi lontani, ma la costruzione culturale per giungere ai Baudelaire e ai Proust dovevi fartela da solo ed era molto difficile. Oggi i maestri sono ovunque, sotto forma di suggestioni».
Maestre sono anche le conversazioni con i giovani. E lei è l’autore che più ha influenzato le nuove generazioni di scrittori. Alessio Forgione inNapoli mon amourha messo lei come personaggio, un ragazzo che gli porta i suoi racconti.
«Due mondi distanti ma affiatati, si crea un rapporto antico, il centauro Chirone e il suo allievo, io Dio e tu Mosè che dice “Ma quante fesserie sta dicendo stu’ dio”. Avere amici giovani mi ha regalato una seconda vita. Parliamo alla pari, giovinezza si trasmette misteriosamente come amicizia. Affetto e attrazione».
Capri non più Capriera un addio straziante all’isola che lei più ha amato.
«È stata Capri ad abbandonare me, casomai. Io me la ripasso spesso. E il libro era un addio alla mitologia di Capri. Il resto no, è lì. Vedo l’aculeo del riccio nel piede di una ragazza, la spiaggia di Cala Ventroso e il mare che va e viene e ha il suono del ghiaccio tritato».
Il ripasso è nostalgia o solo una lettura più attenta?
«È una sfida. Rileggo i miei libri per vedere se il mio presente approva il mio passato».
Dunque?
«In percentuale mi promuovo».
La narrativa italiana per lei ha peccato di provincialismo e di sedentarietà. Come è la situazione in questo momento?
«La situazione letteraria non batte il tempo del momento, dell’attualità. È asincrona rispetto all’oggi. Si scrive tanto. Si legge poco. In editoria la quantità ha sostituito la qualità».
Lei teorizza l’abbandono attivo ma è solo un espediente letterario? È la pistola di Cechov?
«È ciò che rende pulsante il racconto di un ragazzo di Posillipo che sta facendo il bagno a mare davanti a Palazzo Donn’Anna (dove La Capria è nato e ha vissuto, ndr). Il ragazzo fa il bagno e c’è la guerra. Un’improvvisa mareggiata lo manderebbe contro gli scogli se lui non si abbandonasse alle onde, governandole. Le onde lo salveranno tirandolo indietro come un turacciolo. Ecco l’abbandono attivo, essere sempre presente. Perdersi dominando il perdersi. Una pratica della conoscenza e dello spazio; non spingersi mai oltre il non saper tornare indietro. Una tecnica alla Pollicino».
Governare è un esercizio?
«Sì, la paura devi governarla altrimenti resti incarcerato in te stesso. Per esercizio noi prendevamo una barca e al largo spegnevamo il motore e parlavamo con la barca».
Napoli?
«Può cambiare ma è un elemento fisso, un’antica porta aperta a pensieri e visioni del mondo».
Lei non sempre è stato apprezzato dalla critica. Montale ebbe a che ridire del suoFerito a mortePremio Strega nel 1961.
«Mi criticavano per aver portato modelli di letteratura straniera ma è ancora un libro molto amato dai lettori. E da Goffredo Parise, il migliore di tutti noi».
Ghirelli, Patroni Griffi, Rosi, Flaiano, Maccari. Amici non da poco.
«Senza le amicizie non sarei quello che sono. Infatti ho dedicato loro un libro Ai dolci amici addio. Sono rimasti solo Giorgio Napolitano e Lina Wertmüller. Nessun rimpianto però. Quelli che piagnucolano sulle cose non fatte li disistimo».
La letteratura può aiutare la politica?
«La politica non la seguo. Penso sia irrilevante. La letteratura può aiutare solo se stessa».