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 2018  ottobre 27 Sabato calendario

Intervista a Ornella Muti

«Una diva nella Roma decaduta di oggi». Definisce in poche parole il suo personaggio Ornella Muti nel film di Paolo Virzì, Notti magiche, che oggi viene presentato alla Festa del cinema di Roma. «È una donna matura d’età e di cervello, che ha ormai liquidato, buttato dietro le spalle lo sbrilluccichio per andare oltre e diventare finalmente se stessa. Di lei è invaghito un ragazzetto, giovane sceneggiatore innamorato del mito che la diva rappresenta».
Una figura malinconica? «Non direi, anche perché Virzì nei suoi film infonde tantissimo umorismo, le sue trame sono ricche di ironia, ma è indubbio che il mito del cinema di un tempo non esiste più. Non voglio essere fraintesa: oggi esistono nuovi ottimi talenti, Sorrentino, Garrone, lo stesso Virzì, ma...». Ma? «Ma è finito quello che ha reso grande la nostra storia cinematografica e infatti ci hanno superato tutti, basta dare un’occhiata ai film francesi per esempio, tutt’altro livello». 
Insomma non ci sono più i Monicelli, i Ferrari, i Risi, gli Scola con cui la Muti ha lavorato. «E poi oggi intraprendere una nuova produzione è un’avventura: una giungla di “sì, no, ma”. Per non parlare della concorrenza alle sale da parte delle piattaforme tv. La gente ormai possiede degli schermi enormi a casa, dove può vedere tutto comodamente in poltrona».
Dopo i 60 anni per un’attrice incoronata come la più bella del mondo è difficile trovare ruoli appetibili? «Non ho mai creduto, neanche vent’anni fa, di essere la più bella e forse è stata la mia fortuna, altrimenti avrei basato tutto solo sull’aspetto fisico ed è un guaio perché la bellezza, ammesso che ci sia, va via con la giovinezza. Ed è vero: per una donna, in Italia l’età indica se sei papabile oppure no. Se vivessi in Francia, forse avrei anche un fidanzato». Però Ornella è reduce da un trionfo in Russia: «Ho recitato in russo al Cremlino! Protagonista assoluta dello spettacolo The Crystal Palace, accompagnata da 80 elementi del balletto e dall’orchestra sinfonica del Bolshoi. Impersonavo l’imperatrice Anna Ivanovna ed entravo in scena a cavallo. Spettacolo energico e sinergico, ciò che manca da noi, la sinergia, ma io vado avanti, sono una combattente nata».
È nata da combattente, esordendo a soli 14 anni nel film diretto da Damiano Damiani, La moglie più bella, la prima donna che in Sicilia rifiutava un matrimonio combinato. «Oddio! È trascorso quasi mezzo secolo! Ma la condizione femminile non è migliorata: viene uccisa o sfregiata quasi una donna al giorno. Il problema è a monte: le madri devono educare i figli maschi al rispetto dell’altro sesso». 
E adesso è entrato in crisi anche il movimento di riscossa #MeToo. «Mia madre è russa e mi ha insegnato sin da piccola a proteggermi da certe attenzioni che ci saranno sempre, con o senza #MeToo. Mi rende perplessa la denuncia tardiva delle molestie: io mi sono sempre saputa difendere, e senza pensarci troppo». Anche sui set? «Certo! Ma sono stata molto protetta dai miei compagni di scena. Ugo Tognazzi, un amico sincero, avrebbe potuto provarci, ero giovanissima e inesperta, invece creò intorno a me una cortina di protezione. Ero una bambina sognatrice, vivevo i una sorta di Disneyland interiore, potevo essere facile preda per i marpioni. Vedevo tutto perfetto, galleggiavo su una nuvola, ma i miei compagni mi mettevano in guardia, mi dicevano stai attenta, la vita non è una favola: sono stati maestri di cinema e soprattutto di vita. Adesso sono circondata da amici gay, per sentirmi tranquilla, rispettata e coccolata per quello che sono».
In palcoscenico sta interpretando una donna lesbica, ambientata in un’epoca in cui l’omosessualità era un vero problema: non a caso La governante di Vitaliano Brancati, scritta alla metà anni ‘50, fu censurata. «Quando mi è stata proposta dal regista Guglielmo Ferro, ho avuto dei dubbi, dovevo entrare in una psicologia che non mi appartiene, non capivo come dovevo impersonare Caterina Leher, una donna che si innamora di una ragazza nell’ambito di una famiglia siciliana. Ho dovuto affrontare un grande lavoro di compenetrazione. Spero di esserci riuscita».