Corriere della Sera, 27 ottobre 2018
Cosa sappiamo di Cesar Sayoc, l’uomo dei pacchi-bomba
Per l’Fbi è Cesar l’uomo dei pacchi. Sarebbe stato lui a inviarne una dozzina, forse anche di più. Troppi e con tante tracce, compreso Dna e impronte, che hanno permesso agli agenti di arrestarlo come un ladruncolo di strada, a Plantation, Florida.
Il suo ritratto non è quello di un Unabomber misterioso, nascosto nell’ombra. No, Cesar Sayoc jr era ben noto alla legge, una fedina pesantissima. Primo arresto all’inizio degli anni 90, poi di nuovo nel 2002, nel 2014 e nel 2015: giri di droga, furti d’auto, truffe e – soprattutto – si era fatto beccare in passato quando aveva minacciato sul web di usare delle bombe. Un piccolo criminale che probabilmente si considerava qualcos’altro.
Nella sua vita ha girato molto. Nato 56 anni fa a New York, si è spostato in seguito in Nord Carolina, New Jersey, Michigan, di nuovo Brooklyn, infine la Florida. A volte si presentava come «manager» e organizzatore di spettacoli, sosteneva di aver studiato per diventare «medico dei cavalli», ovvero veterinario. Diceva di essere un membro della tribù Seminole, però in altre «pagine» si definiva «filippino». In qualche occasione aggiungeva a Sayoc un cognome: Randazzo, Altieri. Tutti elementi da verificare, visto che gli indiani hanno già smentito.
Cesar ha lavorato in un locale per spogliarelli, ha fatto il ballerino e il buttafuori, con la passione per il culturismo, testimoniata da foto che lo mostrano muscoloso e a torso nudo. Era ossessionato dall’età e per questo barava sulla data di nascita. Per un certo periodo ha abitato con la mamma a nord di Miami, momento non facile segnato, nel 2012, dalla bancarotta che lo ha costretto a dormire in auto. Un cugino ha dato la colpa all’abuso di steroidi: lo hanno cacciato di casa e la sua vita è sempre stata nel mondo dello strip-tease. Fino a gennaio portava le pizze e non pochi clienti avevano espresso disagio davanti a immagini violente e razziste appese sul suo mezzo mentre i colleghi erano irritati per le sue sortite xenofobe.
Quanto alle posizioni politiche è stato lo stesso sospetto a dichiararsi «repubblicano» e poi ci sono le immagini ai comizi, l’avversione viscerale nei confronti della Clinton e di Soros, il sostegno a Donald Trump, l’ostilità verso i musulmani «pedofili e violentatori». Sayoc ha tappezzato i vetri del suo furgone – sul quale viveva – con adesivi che rincorrono gli slogan di The Donald, gli attacchi ai democratici e alla nemica Cnn.
Questa è la cornice che potrebbe aver spinto l’accusato a organizzare la campagna dei plichi-bomba, tuttavia è bene aspettare che sia l’inchiesta a definire movente e dinamiche. Gli artificieri sono ancora al lavoro per determinare la pericolosità dei «tubi» riempiti di polvere nera e schegge di vetro. Rispondendo allo scetticismo di chi pensa fossero delle copie, le autorità avvisano: non erano false bombe.
Vedremo nelle prossime ore il verdetto finale. Che però non può prescindere da alcuni aspetti. Sayoc è riuscito a seminare insicurezza, ha reso ancora più velenoso il clima elettorale, ha costretto 007 e apparati a una super mobilitazione, ha ottenuto l’attenzione generale. Lo hanno scovato quasi subito, è stato pasticcione, ma forse per la prima volta nella sua esistenza confusa ha ottenuto ciò che voleva.