Corriere della Sera, 27 ottobre 2018
L’uomo dei pacchi-bomba è un fan di Trump
WASHINGTON Bianco, 56 anni, robusta fedina penale, elettore registrato tra i repubblicani dal 2016 e, a giudicare dagli adesivi che tappezzano il suo van bianco, invasato sostenitore di Donald Trump. L’Fbi ha arrestato ieri il sospetto bombarolo postale. Si chiama Cesar Sayoc, è nato a New York, ma vive in Florida, nella cittadina di Aventura, sulla costa poco a nord di Miami.
Gli agenti lo hanno seguito e poi bloccato alle 11 nel parcheggio di un centro commerciale di Plantation, a mezz’ora di macchina da Aventura.
La minaccia era reale: «Le bombe non sono false; sono state assemblate con tubi e materiale esplosivo», ha detto Chris Wray, direttore del Federal Bureau, in una conferenza stampa convocata a Washington dal ministro della Giustizia, Jeff Sessions. «L’indagine è ancora in corso – ha aggiunto Wray – e al momento non possiamo dire nulla sulle motivazioni che hanno spinto il sospetto ad agire». Per ora i pacchi recuperati sono quattordici, compresi i quattro recapitati ieri ai senatori democratici Cory Booker e Kamala Harris, a James Clapper, ex direttore della National intelligence e al miliardario californiano Tom Steyer, animatore di una campagna per chiedere l’impeachment di Donald Trump.
Il capo dell’Fbi invita «a rimanere vigili» perché potrebbero esserci altre buste gialle in arrivo. Ma è chiaro che l’identificazione del possibile colpevole, incastrato da un’impronta digitale, sembra chiudere la fase dell’ emergenza cominciata mercoledì scorso, quando sono stati trovati i primi ordigni rudimentali nella corrispondenza di Barack Obama, Hillary Clinton, Robert De Niro, l’ex direttore della Cia John Brennan, parlamentari del partito democratico.
La polemica politica, invece, continua. Trump ha commentato la notizia dal palchetto montato per l’apertura del «Young black leadership summit» alla Casa Bianca. Il presidente ha letto un testo davanti alla platea di ragazzi, preferendo evitare, questa volta, le domande dei giornalisti.
Il messaggio è in pratica la fotocopia del suo intervento di tre giorni fa. Trump ha prima lodato «le forze dell’ordine»: «le migliori del mondo». Poi ha ripetuto: «Questi atti terroristici sono abominevoli; non permetteremo che la violenza politica metta radici in America e gli americani devono mostrare al mondo quanto siano uniti».
Il problema è che tra i due copioni ufficiali che hanno segnato l’inizio e la fine dell’allarme terrorismo, Trump ci ha infilato un comizio nel Wisconsin, in cui ha addossato ai «media» la responsabilità di aver intossicato il confronto pubblico, e poi, ieri mattina, questo tweet: «I repubblicani stanno andando molto bene nel voto anticipato e nei sondaggi. Ora capita questa storia delle “bombe” e la tendenza favorevole rallenta sensibilmente. I media non parlano di politica. Davvero spiacevole, quello che sta accadendo. Repubblicani, uscite e votate!».
Trump, perennemente in campagna elettorale, certamente non attenuerà i toni proprio adesso, quando mancano una decina di giorni al voto del midterm. Il presidente finge di non vedere i pericoli non più solo della polarizzazione, ma del fanatismo coltivato dai tanti «lupi solitari» che popolano il Paese. Basta poco per innescare, letteralmente, una bomba.
Il leader della Casa Bianca spinge la volata anche con provvedimenti ufficiali: ha appena disposto l’invio di circa 800 militari al confine con il Messico. Obiettivo: fermare la carovana di migranti partita dall’Honduras. L’esercito, in realtà, non svolgerà funzioni di polizia, che resteranno di competenza degli agenti della Border Patrol. Ma «stop alla carovana» è il nuovo slogan nei comizi di Trump. Per inciso: «The Donald», alla sua maniera, nelle scorse settimane ha raccontato alle folle dei supporter che i migranti sono fomentati dai democratici e finanziati dal businessman George Soros. Il primo ad aver ricevuto un pacco bomba, lunedì scorso.