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 2018  ottobre 25 Giovedì calendario

Saioa Hernández, voce da Scala

«Ci vediamo il 7 dicembre».
Sono bastate due arie a Riccardo Chailly per decidere chi sarebbe stata Odabella nell’Attila che inaugurerà la nuova stagione del Teatro alla Scala. «Sì, sarò io a vestire i panni dell’eroina verdiana» racconta Saioa Hernández, soprano spagnolo che a Sant’Ambrogio sarà impegnata con un doppio debutto, «quello con il personaggio della vergine guerriera e quello alla Scala». La cantante nata a Madrid parla per la prima volta di quello che da aprile è diventato un pensiero fisso. «Sono già stata a Milano per lavorare sulla partitura e sul personaggio». E pensare che a un certo punto della sua carriera era tentata di mollare tutto. «Studiavo, ma la mia voce non rispondeva – ricorda –. Era il 2012, cantavo Zaira a Martina Franca. Ho tenuto duro, anche grazie al sostegno di mio marito che è diventato anche il mio maestro di canto. E oggi sto per iniziare le prove alla Scala».
Come è arrivata, Saioa Hernández, la chiamata per Attila?
«Sono stata contattata per un’audizione a marzo, quando stavo cantando La Gioconda nei teatri dell’Emilia Romagna. Sembrava dovesse essere una cosa remota, poi in poco tempo si è concretizzato tutto. Dalla Scala sono venuti a Reggio Emilia a sentirmi nell’ultima recita dell’opera di Ponchielli che cantavo mentre a Parma provavo Tosca. Dopo poco ero a Milano: pur avendole studiate non avevo mai cantato in pubblico le arie di Odabella. Alla Scala mi sono presentata in scarpe da tennis perché il giorno prima dell’audizione mi si è bloccata la schiena, forse per la tensione. Sciolta subito dal maestro Chailly che mi ha detto che aveva visto i miei video su YouTube. Mi sono scusata per le scarpe e ho cantato il Santo di patria, l’aria d’esordio di Odabella. Poi ho fatto lOrrido campo del Ballo in maschera ».
E ha convinto Chailly.
«Quando sono stata chiamata dalla Scala mi sono detta: perché hanno cercato proprio me? potevano anche chiamare un’altra. Poi ho riguardato la mia carriera: è vero, forse non ho cantato nei grandi teatri, la Scala sarà il primo, però ho fatto tante altre cose. Venticinque ruoli tut- ti importanti e di maturità, difficili e alcuni rari come Gioconda o Imogene de Il pirata in una carriera relativamente breve: il prossimo anno festeggerò i dieci anni in scena. Iniziai a 29 anni».
E prima cosa faceva?
«Studiavo Legge. Ascoltavo l’opera con mia mamma che faceva collezione di dischi comprati in edicola: mi piaceva, ma preferivo il pop. Ascoltavo Laura Pausini e cercavo di imitarla. Poi un giorno mi hanno regalato i biglietti per la finale di un concorso lirico: c’era una ragazza asiatica che cantava Una voce poco fa e mi sono innamorata di questa musica. Sono entrata nel coro dell’università e il maestro mi diceva di smettere con la giurisprudenza e iniziare a studiare canto. Ho lasciato l’università e ho iniziato a lavorare come maestra per pagarmi le lezioni di canto. Ma la musica restava comunque un hobby».
Quando ha capito, invece, che sarebbe stata la sua vita?
«Con il coro universitario andammo in Francia per una Traviata. Era la prima volta in scena in costume e lì ho capito che l’opera era quello che volevo fare. Ma non solo, in quell’occasione ho conosciuto un tenore italiano, Francesco Pio Galasso, che oggi è mio marito e il mio maestro di canto. Entrambi siamo grandi ammiratori della tecnica dei cantanti di un tempo che, sono convinta, mi permette di affrontare ruoli tra loro diversissimi, rispettando la mia vocalità».
In poco tempo sono arrivate Norma e
Lucia, Traviata e Trovatore, ma anche Gioconda e LaVally. Venticinque ruoli in meno di dieci anni...
«E non è finita. Nel 2018 ho cantato sette nuovi personaggi, nel 2019 mi aspettano cinque debutti: oltre a Odabella sarò Maddalena in Andrea Chénier, Leonora nella Forza del destino, Abigaille in Nabucco e la Lady in Macbeth. Certo, è importante scegliere bene quello che canti, dire dei sì, ma anche dei no. Cerco di curare al meglio la tecnica: qualsiasi repertorio canti lo faccio con la stesa tecnica e lo stesso strumento, quello che cambia è lo stile che è dettato dall’autore. Un complimento che mi rende orgogliosa è quando mi dicono che la mia è una voce come quelle di una volta».

Chi sono le sue cantanti di riferimento? Del passato o di oggi?
«Ho sempre ammirato Renata Tebaldi e Virginia Zeani. Tra le interpreti di oggi apprezzo Anna Netrebko ed Elina Garanca. Ma tutti i colleghi con i quali canto sono per me un riferimento perché mi piace confrontarmi e parlare del mio lavoro, che poi è la mia vita. E naturalmente MontserratCaballé».
Su YouTube c’è un video dove il grande soprano scomparso recentemente la definisce “la diva del nostro secolo”.
«Quelle parole sono state un grande regalo. Suo fratello mi aveva scoperta in un concorso e mi aveva portato da lei a studiare il ruolo di Norma, che ho cantato a Catania, e Imogene, che ho debuttato in Spagna. L’anno dopo a Saragozza ho partecipato a una masterclass che si chiudeva con un concerto: presentandomi disse quelle parole che rimarranno sempre nella mia memoria».
Ascolta ancora la Pausini?
«Ascolto tutti i tipi di musica. Ho una playlist che ho chiamato “La mia vita” con canzoni che hanno segnato il mio percorso, brani che mi emozionano e che suscitano tanti ricordi: c’è la Pausini, ci sono Celine Dion, Whitney Houston e Gloria Esteban, ci sono le canzoni che piacevano ai miei genitori, ci sono il soul e il blues».
A cosa ha rinunciato per la musica?
«Rinunciamo sempre tanto per ciò che amiamo. Rinunce economiche, sicuramente, perché fare questo lavoro costa: lezioni, viaggi, audizioni. Tutto comunque ripagato dalla bellezza di ciò che facciamo. Certo, un figlio sarebbe il completamento del mio progetto di vita».