il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2018
Da Moretti l’abbonato a Paolo il timido: i segreti di Cannes
“Si guardò con diffidenza a quel cineasta sconosciuto che non presentava le proprie credenziali con deferenza per via di una timidezza che rasentava l’autismo e lo rendeva piuttosto simpatico”.
A parte che il memoir da cui proviene è per lo più scritto bene, anche assai bene, e questa affannosa perifrasi è forse il passaggio più ostico, chi è quel cineasta? Paolo Sorrentino, e perché “si tessono le sue lodi all’estero ma non in Francia” lo spiega uno che dà del tu al cinema mondiale: Thierry Fremaux, il delegato generale – da noi si direbbe direttore – del Festival di Cannes. Lo è dal 2001, dalla Palma d’Oro a La stanza del figlio (“Dopo la proiezione, avevamo dovuto interrompere il ciclo di proiezioni per quanto ci aveva sconvolto”), ma di Nanni Moretti diremo poi, stiamo su Sorrentino: “Si è ritrovato in un’impasse: non appartiene a cricche e non dispone di amici influenti che possano controllare un minimo di territorio critico in modo da assicurargli la rispettabilità che gli manca. È sbucato fuori senza avvisare, con quel suo modo di fare alla Droopy (il segugio assonnato dei cartoon di Tex Avery, ndr), senza dovere niente a nessuno, e anche fregandosene un po’ di tutto”. Edito da Donzelli con il contributo di Roma Lazio Film Commission, Cannes Confidential offre in prima persona singolare, anzi, assoluta uno sguardo privilegiato sulla creatura festival: diario, note e viaggi di Monsieur Fremaux, a cavallo di due edizioni, 2015 e 2016. Oltre 530 pagine in cui le chicche si sprecano, fatta salva un’avvertenza: understatement è una parola inglese, Thierry è “nato nel 1960 – l’anno di Fino all’ultimo respiro – a Tullins-Fures, nel dipartimento dell’Isère”. Già, la sprezzatura non abita qui: “Con in mano un bicchiere di Mouton-Rotschild 2004 e l’animo ancora inquieto osservavo la città”; “Festicciola da Christin Louboutin, dove Mélita Toscan du Plantier festeggia una sua produzione”; “Leggo Médium di Philippe Sollers ascoltando Mercedes Sosa”; “Guillermo Del Toro: ‘Sono a Parigi, ci sei?’; Isabelle Huppert: ‘Sono a Lione, ci sei?’ no, sono nel Vercors”.
Definizioni: “Il selezionatore deve essere un animale bramoso e una macchina a sangue freddo”, “Gli artisti sono uccelli di passo”; Realpolitik: “Se la selezione è buona, è grazie ai film; se è pessima, è colpa del selezionatore”; consigli: “Per tutta la durata del Festival, niente alcol e niente caffè”.
E una caterva di aneddoti. Di Billy Wilder li colleziona, ne ha di tutti: Bob Dylan che telefona a Sean Penn, “mostrandosi soprattutto interessato alla dieta che gli aveva permesso di modificare la sua fisionomia” in Milk; “La rivista Les Inrocks (che) mette Sorrentino al numero uno dei ‘cineasti più sopravvalutati dell’epoca’. Quando l’ha saputo, Paolo ha detto: ‘Grazie, ragazzi. È sempre bello vincere qualcosa’”.
Fremaux è scaltro, rosica e deprezza a viso aperto, senza timore né tema di smentita: “Toronto è diventato il festival più importante dopo la pausa estiva, a scapito di Venezia, che tuttavia non ha ancora detto l’ultima parola”. Ma lo humour, stavolta confortato dal dizionario inglese-francese, sa cos’è, fino a spingersi alla barzelletta: “Angela Merkel, che ha deciso di andare in vacanza in Grecia, arriva all’aeroporto. (…). Nazionalità? Tedesca. Occupazione? No, solo un paio di giorni”. Ovvio, ne ha anche per noi. Incornicia uno scambio a tavola tra Wilder e un giovane Bertolucci, che si confessa astemio: “’Ma come, e cosa beve allora?’. ‘Soltanto acqua’. ‘Benissimo, che annata preferisce?’”. Ritrova la propria infanzia cinematografica, che si apre con Sergio Leone e C’era una volta il West, “di cui tuttavia fui privato a lungo perché era vietato ai minori di tredici anni. Lo veneravo già prima di averlo visto”. Nel 2015 a Cannes gli italiani in Concorso erano tre: Matteo Garrone, che Fremaux nomina appena due volte, con “il coraggioso adattamento di Lo cunto de li cunti di Basile – messa in scena molto ambiziosa, scelte poetiche disorientanti”; Sorrentino con Youth, cui Le Monde “dedica appena due righe. La storia della critica è piena di stroncature così, che poi il tempo, con calma, sistema; Moretti con Mia madre. “Nanni è venuto a Cannes molte volte – è in quella cerchia di persone che la stampa chiama, con tono dispregiativo, gli ‘abbonati’”. Thierry lo adora: “Volesse Dio darcene altri di abbonati come lui”. Lo vezzeggia, giacché è uno dei pochissimi ad aver ottenuto il permesso dal suo idolatrato Bruce Springsteen di utilizzare una propria canzone: I’m on Fire, in Palombella rossa. E ne promuove perfino i girotondi: “Rossellini valutava le possibilità di un mondo migliore in base alla capacità degli intellettuali di diventare pedagoghi e di non temere di perdere la faccia”.