Corriere della Sera, 25 ottobre 2018
Usa, quei mille imitatori di Unabomber
A volte sono simili ad una bomba carta. In altre sono apparati «rustici» in grado di uccidere. E chi li prepara – a prescindere dalle motivazioni – centra già il suo obiettivo inviandoli a qualcuno. Se poi il target è famoso ottiene una copertura mediatica massiccia e innesca scontri politici, con accuse contro-accuse sul «clima» che può averli determinati.
Gli ordigni spediti al miliardario George Soros, ai coniugi Clinton e a Barack Obama rientrano in una categoria di violenza piuttosto comune negli Stati Uniti. E non necessariamente innescata da un movente ideologico. Troppo ampio è il panorama americano dove tanti hanno usato questo tipo di armi.
È lontano nel tempo, però tutti ricordano la sfida di Theodore Kaczynski, il matematico che, da un capanno nel Montana, ha mandato pacchi esplosivi a esponenti del mondo universitario. Un’azione scatenata nel 1978 e terminata nel 1995 solo perché il fratello lo ha denunciato all’Fbi. La vicenda di Unabomber è diventata materia di studio, un modus operandi, un simbolo.
Le statistiche ufficiali hanno censito in America nel 2016 ben 969 episodi nei quali sono stati usati esplosivi di vario tipo, cifra in calo rispetto ai 1.739 dell’anno precedente. Sono dati che se poi allargati nel tempo rivelano come gli autori abbiano «colori» non uniformi. Ci sono gli xenofobi, i fuori-di-testa, i simpatizzanti dello Stato Islamico e gente comune che vuole regolare i conti con l’avversario.
Il passato lontano e vicino lo dimostra. Eric Rudolph fece esplodere una bomba «artigianale»alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, poi restò latitante nei boschi fino al 2003. Era un anti-abortista.
In apparenza non c’entra l’ideologia negli attacchi ad Austin, in Texas, nel marzo 2018, con due morti e cinque feriti. Il colpevole, Mark Conditt, si è tolto la vita facendosi saltare per aria all’interno della sua auto. L’uomo aveva spedito numerosi pacchi-trappola costruiti in modo professionale ed era riuscito a tenere in scacco la polizia. Poco chiare le intenzioni della sua campagna considerata comunque un fenomeno di terrorismo interno. Due mesi dopo la proprietaria di un salone di bellezza a Aliso Vejo (California) è assassinata dalla deflagrazione di uno scatolone che conteneva una bomba. Per molto tempo si è sospettato dell’ex compagno, un imprenditore con l’hobby dei razzi «fatti in casa». Ma in altri casi questi oggetti di morte sono stati trovati a elementi anti-Stato della destra estrema, ad anarchici, agli autori del massacro di San Bernardino – dedicato al Califfato – e agli stragisti delle scuole. I due assassini di Columbine hanno iniziato la loro marcia di avvicinamento provando proprio dei «tubi» esplosivi.
Di solito le trappole sono realizzate con contenitori in metallo e polvere nera, sigillati con bulloni alle estremità. A volte i criminali aggiungono chiodi o frammenti per creare delle schegge ed aumentare il raggio. Possono attivarle con un cellulare, un timer. In alternativa confezionano delle «lettere» che possono provocare ferite gravi a chi le apre. Hanno il vantaggio che possono essere realizzati senza destare sospetti in quanto gli «ingredienti» sono acquistabili ovunque, non richiedono una logistica particolare, favoriscono i gesti individuali, ottengono risultati anche quando falliscono nel loro intento. Lasciando dietro di loro polemiche, speculazioni e un’attenzione che va oltre il gesto stesso.