Corriere della Sera, 24 ottobre 2018
Bachmann e Enzensberger, un carteggio svela il loro amore
BERLINO Sono stati i due maggiori poeti della loro generazione. Opposti nello stile, nei temi, nella Weltanschauung, eppur complementari. Lei già consacrata «lyrische Diva» sulla copertina di «Der Spiegel» nel 1954, tormentata, malinconica e a disagio sulla scena pubblica. Lui giovane arrabbiato, tessitore di rapporti, maestro dell’autorappresentazione e virtuoso della scena letteraria. Ingeborg Bachmann e Hans Magnus Enzensberger si erano conosciuti nel 1955 a Tubinga, durante una riunione del leggendario Gruppe 47, il forum dove trovavano riparo gli intellettuali che nella Germania degli anni Cinquanta rifiutavano la cappa del conformismo e della rimozione del passato recente.
Ma quando nel 1959, grazie a una borsa dell’Accademia di Villa Massimo, Enzensberger arrivò a Roma dove la Bachmann viveva ormai da anni con qualche interruzione, furono fragile barriera la loro distanza letteraria e le loro situazioni personali. Complice la città eterna, lui (con moglie e figlia al seguito) e lei (ancora legata a Max Frisch dopo la fine della lunga storia con Paul Celan) diventarono amanti. È una delle sorprese dell’epistolario inedito tra Bachmann ed Enzensberger appena pubblicato in Germania da Piper und Suhrkamp. «Schreib alles was wahr ist auf», scrivi tutto ciò che è vero, contiene 130 lettere che i due si scambiarono a partire dal novembre 1957.
Eppure non fu l’amore, che all’inizio spinse l’ambizioso poeta a scrivere alla sua già illustre collega. Anzi, Enzensberger voleva strumentalizzarne la celebrità per i suoi fini: per esempio convincendo Bachmann a concedergli l’uso delle sue traduzioni di Ungaretti per il suo Museum der modernen Poesie, da lui pubblicato nel 1960.
Ma nella capitale italiana, dove Enzensberger giunse all’inizio della primavera, tra fine maggio e luglio accadde qualcosa. Dopo alcune lettere dove definiva subito Villa Massimo un «ghetto dell’arte», ci fu un silenzio di diverse settimane. E quando in piena estate la corrispondenza riprese, il tono era cambiato, Enzensberger era passato a un tu molto intimo e tenero: «Da quando sei partita, il tempo si è fermato». Seguono lettere dove appare evidente che il fascino di Bachmann avesse stregato il giovane ribelle. Ma l’affaire, «il nostro patto», non durò a lungo. Già poche settimane dopo che la poetessa aveva lasciato Roma, «la tua brutale partenza», per tornare da Max Frisch molto malato, Enzensberger appariva quasi spaventato dall’idea di essere troppo coinvolto nella passione. Così, egli provò a difendersi dall’infatuazione, cercando nella discussione letteraria, sempre presente nell’epistolario, di ricordare e consolidare i temi e le prospettive che li dividevano, quasi a costruire una invisibile barriera, una distanza tra sé e l’oggetto del suo desiderio. E se lui sembrava nuotare benissimo nei meccanismi della celebrità letteraria, lei appariva sempre più insofferente alla nascente società dei consumi, al punto da definirsi «displaced person», la definizione ufficiale usata per gli ebrei subito dopo la fine della guerra.
Una cosa tuttavia continuerà a unirli: la politica. Condivisero le battaglie contro il riarmo della Bundeswehr, la guerra del Vietnam e la «realpolitik criminale» di Henry Kissinger. E entrambi firmarono le risoluzioni del Gruppe 47 in favore di Willy Brandt, candidato socialdemocratico alla cancelleria, che una volta eletto avrebbe promesso di «osare più democrazia». Enzensberger nel frattempo aveva vissuto il suo periodo cubano e poi il Sessantotto.
Dei due ex amanti, la più lacerata e a disagio è sempre stata lei, aliena a tutte le mode politiche e letterarie.