La Stampa, 24 ottobre 2018
Bin Salman fra imbarazzi e applausi. Silenzio sul reporter, soldi dagli investitori
Mohammed bin Salman viene accolto da una standing ovation al suo ingresso alla Future investment initiative, la Davos del deserto. Come l’anno scorso, quando annunciò il «ritorno all’islam moderato» in Arabia Saudita, doveva essere il momento del principe ereditario, un nuovo scossone per dare slancio alle sue riforme. Anche ieri la sala era stracolma.
Ma Mbs ha tenuto un profilo basso. L’ombra dell’assassinio di Jamal Khashoggi è arrivata fino a Riad, con le dichiarazioni di Recep Tayyip Erdogan che tenevano banco dalla tarda mattinata, e nuove rivelazione sulla stampa araba, come quella sullo «squadrone della morte», cinquanta uomini con il compito di dare la caccia agli oppositori in tutto il mondo.
Bin Salman ha sottolineato che la Conferenza ha già attirato «56 miliardi di dollari di investimenti», un «grande risultato: più partecipanti, più soldi». Il principe non ha citato Khashoggi. Ma il governo saudita, in una riunione presieduta da Re Salman, ha promesso che «tutti i responsabili» dell’omicidio e quelli «che hanno mancato ai loro doveri» saranno processati. Bin Salman, assieme al padre, è arrivato alla conferenza nel pomeriggio, dopo aver incontrato alcuni famigliari del giornalista ucciso, compreso il figlio Salah bin Jamal Khashoggi, che vive a Raid e, secondo gli oppositori, non può muoversi dalla capitale. Il principe gli ha stretto la mano ed espresso le sue condoglianze.
La stampa saudita ha sottolineato come a Riad «tutti gli hotel» siano «al completo», anche se mancavano i ministri economici europei e americani e i rappresentati di molte multinazionali e fondi di investimento. Era presente però l’amministratore delegato della Total, e i dirigenti petroliferi russi. Il ministro dell’economia Khalid al-Falih ha ribadito che «l’alta partecipazione è la prova della grande fiducia internazionale nel Regno».
Poco dopo l’amministratore delegato della Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera al mondo, annunciava «accordi per decine di miliardi nel campo del gas liquefatto» con la Russia. Una cooperazione inedita, facilitata anche dall’atteggiamento di Mosca sul caso Khashoggi, in pratica liquidato come un «affare interno» dei sauditi, dove non mettere becco.
Vladimir Putin prova a inserirsi come partner economico, anche se Donald Trump non si sogna di bloccare le vendite di armi a Raid, perché «Russia e Cina sono già pronte a sostituire» le aziende americane fornitrici. Ma in Occidente le continue rivelazioni sul lato oscuro del principe cominciano a pesare.
I giornali turchi rivelano «a orologeria» nuovi dettagli delle indagini, mentre i media arabi vicini a Qatar, Kuwait, o con simpatie per la Fratellanza musulmana continuano a scavare nell’apparato di sicurezza che ruota attorno a Mbs. Il Middle East Eye ha rivelato l’esistenza di uno «squadrone della morte», il Firqat al-Nimr, cioè «il commando delle tigri» incaricato di eliminare gli oppositori.
«Cinquanta uomini arruolati da tutte le branche dell’Intelligence e delle forze armate, con ogni tipo di competenze». Secondo un fonte saudita, il gruppo è stato costituito «perché Mbs ha capito che l’arresto in massa dei dissidenti poteva portare a pressioni internazionali sempre più forte e così ha cominciato a eliminarli, senza clamore». Il gruppo era guidato dal numero due dell’Intelligence Ahmed al-Assiri, detto la «tigre» ma anche la «bestia» per le sue «gesta» nella guerra in Yemen, mentre ruoli chiave erano ricoperti dallo stretto consigliere del principe Saud al-Qahtani e da Maher Abdulaziz Mutreb. Tutti implicati nell’assassinio di Khashoggi e ora sotto inchiesta.