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 2018  ottobre 24 Mercoledì calendario

Diamanti, così finisce l’opaco business di banche e broker

L’Antitrust ha “assolto” Ubi (l’ultima grande banca rimasta sub judice) e il broker Diamond Love Bond (Dlb) per il collocamento dei diamanti ai clienti bancari, ma ha stabilito una revisione obbligatoria delle loro regole commerciali. L’Autorità ha così fissato per la prima volta i “paletti” commerciali che diventano regola per l’intero settore. Intanto continua il minuetto degli altri istituti di credito sui rimborsi chiesti da migliaia di risparmiatori ai quali negli anni hanno venduto diamanti “da investimento” proposti dai due intermediari leader del settore, Idb e Dpi, pesantemente multati dall’Agcm insieme alle banche per pratiche commerciali scorrette.
Il collocamento di diamanti come “beni di investimento” ai clienti bancari è esploso durante la crisi finanziaria del 2008 grazie a un vuoto legislativo: l’acquisto di pietre non è “investimento finanziario” ma un’operazione commerciale come un’altra. Se il contratto non indica un rendimento (l’eventuale guadagno è semplice plusvalenza) o un impegno di riacquisto (ma solo disponibilità a rivendere le pietre entro data certa) né Consob né Bankitalia possono vigilare. Grazie a questa scappatoia, negli anni sono sorte decine di aziende specializzate che hanno inondato di proposte di acquisto di pietre i clienti bancari: le banche “spingevano” i diamanti agli sportelli ricevendo in cambio commissioni spesso superiori al 10% dell’importo venduto. Una stima prudente considera che negli ultimi 15 anni le banche e i due principali broker abbiano piazzato pietre per almeno 2 miliardi.
Con la decisione pubblicata lunedì a chiusura dell’istruttoria sui diamanti venduti da Dlb attraverso Ubi, l’Autorità ha recepito gli impegni di Dlb e di Ubi. L’Autorità ha sancito che la posizione delle due società era diversa da quelle dei concorrenti: sia il broker che la banca non hanno fornito servizi di ricollocamento delle pietre, hanno evidenziato ai clienti i rischi di prezzo e di liquidità dell’investimento e i costi e servizi inclusi nel prezzo, come la commissione che Dlb paga alla banca (15-20%) i cui bancari curavano l’intero processo di vendita.
Entro 60 giorni il broker modificherà le comunicazioni informando i clienti il diamante è un bene di consumo e non prodotto finanziario e che non è corretto parlare di rendimento, come pure che la rivendita potrebbe richiedere molto tempo, predisponendo un’informativa che sarà consegnata al cliente prima della vendita, in alcune clausole del contratto di acquisto e nella brochure. Inoltre terrà corsi di formazione ai funzionari di Ubi che venderanno i diamanti e rimborserà i costi applicati ai clienti che hanno esercitato il recesso.
Ubi si impegna invece a controllare il comportamento dei propri funzionari per far rispettare il Codice del Consumo e offrirà diamanti solo ai clienti con un portafoglio superiore ai 100 mila euro per valori non superiori al 5 per cento del patrimonio complessivo. L’Antitrust ritiene che questi impegni “assicurano un’adeguata tutela dei consumatori ai quali viene fornita una trasparente e completa informazione”. L’Agcm ha quindi chiuso il procedimento senza accertare infrazioni.
Il 30 ottobre 2017, l’Antitrust aveva già inflitto pesanti sanzioni per le modalità di offerta dei diamanti da investimento “gravemente ingannevoli e omissive”: 9,35 milioni al canale Intermarket Diamond Business-Idb (2 milioni al broker, 4 a UniCredit e 3,35 a Banco Bpm), 6 milioni al canale Dpi (un milione al broker, 3 a Intesa Sanpaolo, 2 a Mps). Ma queste banche, nonostante i rischi legali e reputazionali, si muovono in ordine sparso. Secondo l’associazione di consumatori Aduc c’è chi rimborsa tutto e subito (Intesa Sanpaolo), chi prima ha promesso rimborsi integrali e poi ha fermato tutto (UniCredit), chi si dice pronto a rimborsare ma attende l’autorizzazione della Questura al riacquisto delle pietre (Mps) e chi avvia trattative caso per caso offrendo rimborsi al 60% del valore investito (Banco Bpm).
Su queste vicende sono in corso anche due inchieste penali. La Procura di Milano indaga per truffa nel collocamento delle pietre. Il broker Idb è poi sotto indagine per associazione a delinquere, circonvenzione di incapace, falso, peculato e persino sequestro di persona. I magistrati, che hanno azzerato gli organi societari, indagano sui trasferimenti di quote societarie intestate attraverso un trust alla fondatrice di Idb, Antinea Massetti De Rico (in stato vegetativo dal 2011) e a suo marito, Richard Edward Hile, entrambi deceduti nel 2017. Nei mesi scorsi gli inquirenti hanno sequestrato 70 milioni tra conti correnti e azioni conferite all’Hile Trust. Il 14 maggio, il presidente e amministratore delegato di Idb, Claudio Giacobazzi, è stato trovato morto in un hotel di Reggio Emilia. Nel 2005 Idb era stata oggetto di un fallito tentativo di infiltrazione della ’ndrangheta, scoperto al giudice Guido Salvini di Milano nel 2008.
La reazione dei clienti pesa sui bilanci 2017 di Idb e Dpi, che hanno visto crollare i ricavi (Idb da 130 a 3,5 milioni, Dpi da 286,4 a 2), con il tracollo dei risultati (Dpi è passata da un utile di 40,1 milioni nel 2016 a una perdita di 5,6, Idb da 5,4 milioni di utile a 15,7 di perdite). Idb ha in deposito pietre dei clienti per un valore di 641 milioni (erano 672 a fine 2016). L’ultima incognita è la decisione del Tar del Lazio che deve pronunciarsi nel ricorso dei broker contro le multe dell’Antitrust.