il Giornale, 24 ottobre 2018
Nessuno usa più gli sms
Vanno in pensione gli short message service, più noti come sms, a ventisei anni dalla loro introduzione sul mercato. O meglio, la funzione continua a esistere, ma ormai sono sempre meno i fruitori di simili servizi sostituiti da chat e applicazioni di messaggistica istantanea, per lo più gratuita, come WhatsApp, Facebook Messanger, Viber, WeChat e Telegram. Non occorre, volendo, neppure impegnarsi a scrivere i 160 caratteri previsti come limite massimo dagli sms, superando eventuali dubbi ortografici o grammaticali, visto che oggi la comunicazione passa da immagini e da registrazioni vocali trasmesse via web. Tanto che le maggiori compagnie telefoniche, da Vodafone a Tim, nelle proposte di abbonamento e nei pacchetti mensili destinati alle sim ricaricabili, non menzionano quasi più gli sms mentre aumentano, costantemente, i minuti di conversazione inclusi nell’offerta (ormai illimitati nella maggioranza dei casi) e i giga per il traffico dati (in molti casi si parla di 50 giga al mese, un livello che permette di scaricare film, lavorare, seguire le istruzioni di Google Map quando ci si perde e scambiarsi messaggi via app quasi senza limiti). E se fino a cinque anni fa, proprio di questi tempi, iniziavano ad apparire le pubblicità delle Chrismas Card, pacchetti in offerta «natalizia» comprendenti la possibilità di mandare infiniti messaggi di auguri, oggi il tema su cui i maggiori gestori telefonici si stanno facendo una concorrenza spietata è quello del traffico dati. E gli sms? Spariti. Per Natale si manderanno tonnellate di foto e messaggi ma via app.
L’sms, disponibile perlopiù a pagamento extra offerta «flat», è rimasto appannaggio di pochi «puristi» che preferiscono evitare di immettere troppi dati personali online o di essere reperibili costantemente, e di qualche leone d’argento che non si è ancora trovato di fronte all’urgenza di scambiare foto di nipotini e animali domestici con i propri amici via app. Ma se i Millennial e la generazione Y oramai comunica quasi esclusivamente attraverso immagini e messaggi vocali, c’è stata un’epoca in cui agli sms si dedicavano libri, articoli e canzoni. Non solo. Gli short message service erano stati additati come i responsabili di un’evoluzione non proprio scolastica della lingua italiana: per rimanere all’interno dei 160 caratteri previsti per ogni singolo sms, era infatti nata una scrittura sintetica, veloce, caratterizzata da una profusione di «k» e «x», da acronomi inglesi (come Omg, «Oh my God», o mio Dio) e faccine disegnate con i segni di punteggiatura per indicare gli stati d’animo (di fatto gli antenati delle «emoticon»).
Il primo sms della storia risale addirittura al 1992 quando l’ingegnere britannico Neil Papworth aveva inviato gli auguri di Buon Natale per iscritto da un computer a un cellulare sulla rete gsm di Vodafone. In pochi, almeno all’inizio, avrebbero scommesso sul successo del prodotto che si riteneva dedicato a un uso prevalentemente lavorativo. E infatti i primi cellulari erano pensati solo per ricevere i messaggi dei propri gestori telefonici ma non per inviarli. D’altro canto, si diceva, perché scrivere quando si può telefonare, tanto più che la tastiera numerica (e non alfabetica) dell’epoca rendeva la scrittura di ogni singolo sms un’operazione tutt’altro che banale. Ma, anche grazie alle intuizioni commerciali e di prodotto di Tim, in Italia, gli sms avevano assunto rapidamente dimensioni talmente popolari da trasformarsi in un fenomeno di massa, tanto che il Paese era spesso preso come modello di riferimento per sviluppare il prodotto altrove. Si era così passati dai 17 miliardi di sms scambiati nel mondo nel 2000 agli 8mila miliardi del 2012. Poi il brusco declino di un prodotto che ha concorso a rivoluzionare, in una decina di anni, tecnologia e modalità di comunicazione. Oggi si stimano ormai pochi miliardi di sms inviati in un anno nel mondo, mentre via WhatsUp sono scambiati oltre 55 miliardi di messaggi al giorno.