Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2018
Trump verso le elezioni di mid-term con indici economici da record
NEW YORK
Nella girandola dei comizi elettorali Donald Trump continua a ripetere che presenterà presto un piano per nuovi tagli alle tasse. Questa volta dopo le aziende pensa alla classe media poco toccata dai tagli delle aliquote corporate dal 35 al 21 per cento. «I legislatori repubblicani stanno lavorando a un taglio fiscale molto importante che sarà presentato nelle prossime settimane», ha detto il presidente in Nevada. Una promessa che forse non potrà mantenere. Se i risultati che usciranno dalle urne alle elezioni di Midterm il 6 novembre confermeranno i sondaggi.
Rischio perdita del Congresso
I repubblicani potrebbero perdere il controllo del Congresso: la Camera dovrebbe passare ai democratici, il Senato dovrebbe restare ai Gop seppure con un margine risicato. È tutto da vedere. Ricordando come sono andate le ultime presidenziali, conviene attendere i risultati.
Di solito nelle elezioni di metà mandato, dopo i primi due anni di amministrazione, il partito del presidente perde. È avvenuto nelle ultime tornate elettorali, con George W. Bush e nel secondo mandato di Barack Obama. Trump è abituato alle rimonte all’ultimo minuto. I numeri dall’economia sono tutti dalla sua parte. Meno il gradimento sulla sua presidenza, sempre al di sotto del 50 per cento. Il sentiment sullo stato dell’economia nazionale, dall’ultimo sondaggio Cbs News, è ai massimi dal 1998, gli anni di Clinton e del boom della new economy, per sette americani su dieci. Ma più della metà disapprova il lavoro fatto dal presidente.
Crescita ai massimi
Stando ai numeri, nei primi due anni di Trump, il Pil è aumentato in media del 2,72 per cento. Nel secondo trimestre è salito del 4,2%, ai livelli più alti dal 2014. Venerdì verranno pubblicati i dati del terzo trimestre che, seppure in leggero calo, dovrebbero confermare il trend di incremento annuo del Pil superiore al 3% a fine anno: per gli Stati Uniti sarebbe la crescita maggiore dal 2005. I profitti corporate sono saliti in media del 16,1%, spinti dall’andamento dell’economia e dai “tax cut”. Gli indici sulla fiducia sono tutti positivi. La disoccupazione è scesa ai minimi dal 1969. E così gli indici dei mercati finanziari, che nonostante la volatilità dell’ultimo mese, sono tutti con il segno più dal novembre 2016: Nasdaq +48%, S&P 500 +32%, Dow Jones: +40 per cento.
Ma i conti pubblici vanno male
Vanno meno bene i conti pubblici. Il deficit federale nel primo anno fiscale pieno dell’amministrazione Trump, concluso il 30 settembre, ha raggiunto i massimi storici, a 779 miliardi, con un aumento del 17% in un solo anno. Meno entrate per i tagli fiscali, aumento delle spese per la difesa e soprattutto l’incremento del debito pubblico. Al peggioramento del deficit ha contribuito anche la maggiore spesa per gli interessi sul debito: nei primi due anni di Trump il rendimento dei Treasury a dieci anni è passato dall’1,80% al 3,14 per cento. Nelle scorse settimane il presidente ha criticato duramente la politica monetaria della banca centrale americana definita “crazy”, per il rialzo dei tassi. A difesa delle scelte della Fed e del suo governatore Jerome Powell c’è stata un’alzata di scudi generale: Alan Greenspan, Stanley Fischer, Christine Lagarde.
Benefici ai più ricchi
Cresce il deficit federale ma anche il divario economico. Per il Joint Committee on Taxation, la commissione bilaterale del Congresso che misura gli effetti dei tagli fiscali, un quarto dei beneficiari della riforma fiscale sono stati cittadini americani con un reddito annuo superiore al milione di dollari. I tassi dei mutui sono ai livelli più alti da sette anni e nelle aree urbane i giovani non riescono a comprare la prima casa. Un report di Moody’s appena pubblicato sostiene che il taglio delle tasse «contribuirà all’ampliamento della disuguaglianza negli Usa esacerbando la concentrazione di reddito e ricchezza».
Una partita tutta locale
Le elezioni di Midterm si giocano più su base locale che nazionale. Oltre al rinnovo del Congresso il 6 novembre si voterà anche per 36 governatori. Vincere la poltrona di governatore in 36 Stati sarà cruciale per entrambi gli schieramenti in vista delle presidenziali 2020. L’incognita vera di questa campagna è lo stesso Trump che continua con i suoi tweet a spostare l’attenzione su altri temi nel tentativo di conquistare fasce di elettorato scontente: i transgender, gli immigrati, la criminalità. Un’analisi interna del Comitato elettorale nazionale del Partito repubblicano sostiene che proprio a causa dell’agenda dettata ogni giorno dai tweet presidenziali «le elezioni Midterm per gran parte degli americani non si giocano tanto sull’economia, sui posti di lavoro creati o sugli accordi commerciali», ma sono diventate una sorta di «referendum sulla figura di Trump».
Tuttavia gli analisti sono d’accordo sul fatto che la perdita del controllo del Congresso porterà a un mantenimento dello status quo: nei prossimi due anni il Governo avrà più difficoltà a portare avanti le sue riforme, e questo viene visto come un fatto positivo a Wall Street: «Un governo più debole è l’eventualità più probabile e con meno conseguenze per i mercati», scrivono gli analisti di Morgan Stanley. Un altro report di Barclays conferma questa tesi: con un Congresso diviso a metà «non passeranno le leggi market mover». Un’avanzata dello “tsunami blu” democratico in Camera e Senato «potrebbe essere negativa per i mercati finanziari» ed è ritenuta «improbabile». Dall’altro lato, se i repubblicani dovessero riuscire a mantenere il controllo dei due rami del parlamento le politiche di deregulation e i nuovi tagli alle tasse promessi da Trump potrebbero vedere la luce. Scenario definito «very risk positive» da Barclays. Probabilmente, comunque andranno le elezioni, l’economia americana e i mercati finanziari continueranno a crescere.