La Stampa, 23 ottobre 2018
Le alluvioni urbane che spaventano Roma
Domenica sera l’improvviso ingresso di aria fredda dai Balcani dopo giorni di caldo anomalo ha scatenato il finimondo su Roma. Dai cumulonembi temporaleschi è scaturito un nubifragio che avrebbe mandato in crisi le reti di deflusso di qualunque città. Sulla zona orientale, tra Centocelle e Tor Sapienza, è caduta fino a una settantina di millimetri di precipitazione, di cui 50 in mezz’ora.
All’allagamento di interi quartieri in pochi minuti ha contribuito l’enorme quantità di grandine che ha intasato le caditoie ostacolando lo smaltimento dell’acqua, e forse la scarsa manutenzione e pulizia dei canali di drenaggio.
Non è una novità che Roma sia allagata da temporali anche meno intensi, e l’autunno è una stagione particolarmente esposta. Ottobre e novembre sono in media i mesi più bagnati nella capitale, con un centinaio di millimetri di pioggia.
Tra i precedenti analoghi c’è una sorprendente coincidenza: esattamente trent’anni prima, nel pomeriggio del 21 ottobre 1988, una grandinata seppelliva sotto mezzo metro di ghiaccio la zona di Monteverde. Le strade rimasero impraticabili fino a sera. In questi casi la formazione locale di grandi spessori di ghiaccio al suolo è favorita dal territorio ondulato della città: i chicchi di grandine, meno densi dell’acqua liquida, galleggiano, si compattano in lastroni che vengono trasportati via e si ammassano nelle depressioni in strati di svariati decimetri d’altezza. Ancora più gravi gli effetti dei diluvi del 20 ottobre 2011 (144 mm di pioggia all’Eur, traffico paralizzato, metropolitane ferme e un uomo annegato in un seminterrato del quartiere Infernetto) e del 31 gennaio 2014 (167 mm d’acqua in 18 ore a Monte Mario).
Sono tutti esempi di urban-floods, alluvioni urbane, scatenate da temporali non sempre straordinari - bastano poche decine di millimetri d’acqua in un paio d’ore - ma facilitate da un territorio artificializzato troppo e male. Se ne vedono ogni autunno soprattutto nelle metropoli affacciate sul Mediterraneo, dove il mare caldo dopo l’estate è una generosa sorgente di vapore acqueo che alimenta nubi temporalesche «autorigeneranti».
Se il nubifragio vi coglie per strada, evitate gli avvallamenti e non avventuratevi in sottopassi che possono trasformarsi in trappole mortali: già con un allagamento da trenta centimetri il motore può spegnersi mentre l’inondazione sale a vista d’occhio; e poiché l’acqua pesa una tonnellata al metro cubo, uno strato di poco più di mezzo metro è in grado di far galleggiare un’auto e farvi perdere il controllo.
Sembrano consigli banali, ma quasi tutti gli anni qualche vittima viene sorpresa in questo modo. A lungo termine, il problema si affronta curando la manutenzione e l’adeguamento delle reti fognarie, anche in vista di acquazzoni che in un futuro più caldo potranno divenire più intensi e frequenti. Un’opera capillare, complessa e costosa, ma che attenuerebbe i danni e produrrebbe benefici concreti e duraturi.