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 2018  ottobre 23 Martedì calendario

Tutti i passi falsi del giovane principe Bin Salman

Con quasi tre settimane di ritardo, la versione saudita dei fatti è arrivata. A riferirla è stato il ministro saudita degli Esteri, Adel al-Jubeir: Jamal Khashoggi, il noto giornalista scomparso il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul, sarebbe stato ucciso da una squadra di agenti segreti arrivati da Riad durante una colluttazione. Il principe reggente, Mohammed Bin Salman, non ha ordinato questa missione. Nemmeno i vertici dell’Intelligence erano al corrente. «L’operazione era illegale». Si è trattato di «un tremendo errore». 
Mentre continua a crescere il gruppo di illustri defezioni (ieri è stata la volta del Ceo di Siemens, Joe Kaese) da parte del mondo della finanza e dell’economia al Future Investment Initiative, la “Davos del deserto” che inizierà oggi a Riad, la prima spiegazione ufficiale saudita dell’assassinio che sta provocando un terremoto geopolitico mondiale non convince. Gli indizi che vedono il coinvolgimento della Corona aumentano col passare dei giorni. Riesce peraltro difficile accettare l’idea che l’uomo più potente dell’Arabia fosse all’oscuro di una missione pianificata nei minimi dettagli, all’interno di una sede diplomatica, da uomini peraltro a lui vicini. Che non lo sapessero i vertici dell’intelligence suona ancor meno credibile. 
Spazientiti diversi Paesi occidentali stanno incalzando Riad a fare chiarezza e a fornire i fatti. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato la sospensione dell’export di armi verso Riad, invitando gli altri partner europei a fare altrettanto. L’immagine del giovane e ambizioso principe che voleva passare alla storia per modernizzare il Regno saudita ne esce comunque danneggiata. Quella di Mbs è la parabola di un principe coraggioso, ma anche molto ambizioso, forse troppo. Comunque intollerante verso il dissenso. Mbs voleva mostrarsi al mondo come un principe illuminato e riformatore, l’alleato arabo che l’Occidente cercava da tempo. Ma la poca trasparenza dimostrata in diverse circostanze, e le discutibili iniziative sullo scacchiere mediorientale, hanno generato sospetto.  
Nominato a soli 31 anni principe ereditario nel giugno 2017 da suo padre, re Salm?n, Mohammed Bin Salman, noto con l’acronimo di Mbs, era già ministro della Difesa da due anni. Sarebbe stato proprio lui il promotore della campagna militare in Yemen, scattata nel marzo 2015 contro i ribelli Houti, sostenuti dall’Iran. La coalizione di Paesi arabi sunniti guidata da Riad ha così dato il via a martellanti bombardamenti. Tutt’altro che chirurgici. Quella che doveva essere una guerra rapida, si trasforma in una sorta di Vietnam saudita. I ribelli occupano ancora Sanaa, lo Yemen è la più grave crisi umanitaria del 2018. 
Nonostante gli insuccessi della campagna yemenita, il giovane Mbs diviene due anni dopo l’uomo più potente del regno. La svolta avviene a fine maggio del 2017, quando accoglie a Riad il presidente americano Donald Trump e forgia un’alleanza strategica in chiave anti-iraniana in cui vengono firmati accordi di fornitura di armi americane per 110 miliardi di dollari. È proprio in questa occasione che, pur senza il consenso di Washington, Mbs dà il via alla sua seconda guerra, questa volta diplomatica, contro il Qatar. Reo, ai suoi occhi, di sostenere il terrorismo islamico e di intrattenere illegittime relazioni con l’Iran. Insieme alle monarchie del Golfo e all’Egitto, Mbs decreta un embargo totale – aereo, navale e terrestre – contro il piccolo ma ricchissimo Emirato. Confida di farlo capitolare presto. Ma fa male i suoi calcoli. Doha resiste, anzi rafforza le relazioni commerciali e diplomatiche con Iran e Turchia. 
Sul fronte interno Mbs persegue con determinazione il suo ambiziosissimo piano: affrancare l’economia dell’Arabia Saudita dalla dipendenza del petrolio, modernizzarla e riformarla puntando su energie rinnovabili, turismo e hi-tech. Questi sono i pilastri del suo costoso progetto: “Vision 2030”. Per realizzarlo, il giovane principe non può fare a meno degli investimenti stranieri. In gioco ci sono commesse da decine di miliardi. La curiosità tra le compagnie occidentali rasenta l’entusiasmo. Che tuttavia si spegne presto. Il 4 novembre 2017 Mbs ordina la maxi retata anti corruzione. Oltre 200 fra ministri, businessmen e principi vengono arrestati. Tra loro i 10 uomini più ricchi del mondo arabo. Senza pubblicare prove e senza accuse formali, in cambio del loro rilascio la monarchia intende ricavare dai “risarcimenti” oltre 100 miliardi di dollari. È un’operazione che solleva molte perplessità in Occidente. Le riforme in campo sociale – come la revoca del divieto di guida per le donne, il permesso di assistere alle partite di calcio negli stadi e di andare al cinema – sono ancora troppo poco.  
Il progetto più complesso di Mbs è la quotazione del 5% della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera saudita. Dall’Ipo più grande della storia Riad si attende 100 miliardi di dollari. Svelata a inizio 2016, avrebbe dovuto aver luogo nel 2017. Poi il nulla. Anche in questa vicenda c’è qualcosa di poco chiaro. E per un Paese che vuole mostrarsi riformatore, e attrarre ingenti investimenti stranieri, la trasparenza è un passaggio obbligato.