Il Messaggero, 23 ottobre 2018
La lingua italiana conquista il mondo
«La fortuna di un popolo dipende dallo stato della sua grammatica. Non esiste grande nazione senza proprietà di linguaggio». La fondamentale intuizione del grande Fernando Pessoa si è sempre ritorta contro il destino non fortunato dell’italiano, poco diffuso all’estero e molto trascurato in patria, al 21esimo posto tra le lingue più parlate nel mondo. Ma la III edizione degli Stati Generali della lingua italiana nel mondo, dedicata a L’italiano nella rete, le reti per l’italiano, tenutasi a Villa Madama a Roma, sembra offrire motivi di ottimismo, e perfino di entusiasmo, davanti al dato fornito dal ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi, per cui l’ italiano è oggi «la quarta lingua più studiata nel mondo». Il direttore generale per il Sistema Paese della Farnesina, Vincenzo De Luca, sottolinea lo sforzo della mappatura dell’insegnamento dell’italiano nel mondo tramite gli Istituti italiani di cultura che nell’anno accademico 2016/17 ha raggiunto i 2.145.093 studenti in 115 Paesi, con un aumento del 3,85%.
L’ESPANSIONE
Forte dei risultati, il capo della Farnesina Moavero Milanesi, richiama la forza della lingua in quanto luogo di «identificazione identitaria» e trova la chiave di volta efficace del rilancio ricordando «l’attuale espansione geografica in zone strategiche del mondo, dovuta anche alla capacità di influenza culturale dell’italiano, con un aumento del 22% nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, del 14% nell’Africa Sub-sahariana». Ribadisce l’impegno per trovare nuovi fondi «per rilanciare la rete delle scuole italiane all’estero» e rispondere alla domanda di italiano proveniente dai Paesi in cui sono presenti «le nostre storiche comunità e le terze e quarte generazioni di italiani». Progetto molto apprezzato dal sottosegretario del Miur Salvatore Giuliano che ricorda gli «oltre 5 milioni di italiani residenti all’estero e i milioni di oriundi figli della nostra emigrazione».
LA RICOGNIZIONE
Proprio quella tradizione secolare che fa tenere all’Australia saldamente il primo posto nella classifica con un totale di 314.716 studenti. Un balzo vistoso quello dell’Egitto, con 121.909 unità rispetto alle 79.149 di due anni fa. Aumenti significativi anche in Francia, Germania, Stati Uniti, Uruguay. La vistosa contrazione di circa 11 mila unità nelle tabelle di Regno Unito (-28,08%) e Giappone (-36,28%), è un dato depistante perché l’affinamento della rilevazione ha permesso di verificare gli studenti effettivamente frequentanti anzichè quelli solamente stimati della precedente ricognizione. Si tratta quindi di dati non confrontabili in senso assoluto.
La maggioranza degli studenti, oltre il 57%, si concentra nelle scuole pubbliche locali e, a fronte della flessione della frequenza negli Istituti italiani di cultura (-7,89% pari a 5.649 unità), della sostanziale invarianza di quella universitaria, si nota un aumento della frequenza in contesti di apprendimento diversi come associazioni private e Università della terza età (+23,02% pari a 51.983 studenti).
Il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, è entusiasta della «collaborazione col Ministero degli esteri che, anche nei cambi di governo, non ha mai conosciuto calo. Promuovere la lingua non è la sua missione precipua, anche se si occupa delle scuole all’estero, ma il Ministero ha saputo trasformare la promozione dell’italiano in uno strumento strategico». Fabio Rossi, ordinario di Linguistica all’Università di Messina, sottolinea come questa promozione non può essere tacciata di sovranismo, perché non difendere l’identità culturale è al contrario provincialismo.
Il censimento disegna una stagione di sviluppo della diffusione e dell’interesse, incentivati dalla rete di «italicità» di cui ha estesamente parlato il sottosegretario di Stato Guglielmo Picchi. Una lingua che affascina pure i cinesi anche se Federico Wen, direttore del Dipartimento di Italianistica della Beijing Foreign Studies University, ricorda che «appena un mese fa il francese, il tedesco, lo spagnolo sono entrati come obbligatori nell’esame di Stato con dignità pari all’inglese ed è scarsa la quantità di opere italiane tradotte nel XX secolo, per cui occorre che anche l’italiano entri nella formazione ufficiale». Wen è sicuro che in Cina presto l’italiano «diventerà di tendenza» e già 5 mila studenti, grazie ai programmi Marco Polo e Turandot, vengono ogni anno in Italia che diventa per la prima volta una delle mete più importanti per la formazione. Dante è già famosissimo grazie all’introduzione di Friedrich Engels all’edizione italiana del Manifesto del Partito Comunista di Marx, dove viene definito «l’ultimo poeta medievale e il primo della modernità». I programmi cinesi sono rigidi, l’istruzione è severa, se non si passa un esame ne va del destino di una vita e quindi tutti conoscono la frase su Dante.
LA CONSAPEVOLEZZA
Insomma occorrono ulteriori sforzi, nello spirito di Marco Polo e Matteo Ricci, per rilanciare una realtà che non è più stagnante ed evitare il pericoloso «disallineamento competitivo» segnalato da Lorenzo Tavazzi, Direttore di Scenari e Intelligence, per cui siamo il primo Paese per citazioni nelle ricerche scientifiche, siamo una superpotenza culturale, ma nessuno lo sa e noi italiani non ne siamo consapevoli al punto da riuscire a consolidare la nostra attrattiva economica a livello internazionale. A dispetto di chi snobba il patrimonio umanistico come poco redditizio, gli Stati Generali della lingua italiana dimostrano che rafforzare la lingua e la cultura serve a rilanciare tutto il sistema Paese.