Il Messaggero, 22 ottobre 2018
Leggere Dante e Beatrice con gli occhi di Hawking
Un Dante avveniristico, tanto lontano dal Galileo Galilei del «Dialogo sui massimi sistemi del mondo», quanto vicino allo Stephen Hawking del Bing Bang e dei buchi neri. Tanto lontano dallo scienziato credente, processato per aver confutato la teoria tolemaica che vuole la terra al centro dell’universo, quanto vicino alle intuizioni del fisico ateo autore di una delle più importanti teorie sull’origine dell’universo. È questo il paradosso della rilettura del Paradiso della Divina Commedia, come viaggio tra i novi cieli del cosmo verso l’Empireo, fornita dalla XXII Settimana di Studi Danteschi, promossa con sforzo costante e lungimirante da professor Giuseppe Lo Manto, che si terrà, dal 22 al 26 ottobre nella barocca cornice dell’auditorium SS. Salvatore di Palermo.
Se da un lato Dante s’ispira al cielo delle stelle fisse di Aristotele e a Tolomeo, dall’altro intuisce, in modo visionario, che l’universo nasce da una concentrazione puntuale e primordiale di energia, a cui dà un valore mistico compenetrandola con l’amore divino. Il poeta si volge con compassione verso la terra prima di assurgere nell’Empireo, pronunciando il verso che dà il titolo a questa edizione: L’aiuola che ci fa tanto feroci.
ALL’OTTAVO CIELODante è alla fine del suo viaggio all’ottavo cielo, quello delle stelle fisse, si volge verso l’Empireo che definirà con versi famosissimi, «luce intellettual, piena d’amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore». Dopo uno sforzo immane guarderà il principio del tutto, come qualcosa che si interna in se stesso, «legato con amore in un volume», un punto che «per l’universo si squaderna». Già nel XVII canto aveva parlato all’avo Cacciaguida, da cui riceve la profezia dell’esilio da Firenze, di questa teoria di un «punto/a cui tutti li tempi son presenti». «Un punto da cui tutto ha avuto origine spiega Lo Manto- qualcosa di assimilabile al moderno Big Bang, che ci conferma come il viaggio cosmico di Dante verso l’Empireo, non sia solo un viaggio dentro lo spazio, ma sia un viaggio nel tempo, in una realtà soprannaturale in cui il tempo piano piano scompare concentrandosi in se stesso. È il mistero per cui nell’ultima terzina del poema Dante esclama: A l’alta fantasia qui mancò possa. cioè qualcosa di inimmaginabile, che non riesce a contenere, di cui lui può solo descriverci il risultato perché è un processo di deificazione. Già nel Convivio, citando Sant’Agostino, aveva detto che chi compie questo percorso è un dio incarnato».
Dato il tema del viaggio nel cosmo, alla manifestazione parteciperanno fisici di fama internazionale, come Guido Tonelli, uno degli scopritori del bosone di Higgs che domani dialogherà sull’incipit dell’universo con il teologo Vito Mancuso e il dantista Corrado Bologna, e poi a seguire, insieme ad altri studiosi prestigiosi, il giovane astrofisico Luca Perri, il linguista Francesco Sabatini, lo scrittore e regista Moni Ovadia che martedì parlerà della nostra stupida ferocia.Tonelli ha trovato affascinante «l’idea di parlare di quello che pensiamo di sapere oggi su questo tema confrontandolo con la Divina Commedia. Mi dà emozione che nel paradiso Dante immagina Dio come un punto che contiene tutti gli spazi e tutti i tempi, perché oggi sappiamo che l’universo, lo spazio-tempo sono nati da una microscopica fluttuazione del vuoto, perché questa banca di materia e antimateria può fluttuare e una particolare fluttuazione, per meccanismi puramente casuali, ha dato origine ad un’anomalia, producendo una particella che ha portato ad un’espansione spaventosa, detta inflazione cosmica, per cui da un punto si è sviluppato tutto l’universo. Il fatto che nel medioevo Dante avesse potuto intuire tutto questo dà uno stupore straordinario».
LA RILETTURAQuesta rilettura cosmologica del Paradiso di Dante riuscirà forse a rendere più intrigante e far tornare ad amare la cantica più negletta e sfortunata della Divina Commedia, quella considerata, da generazioni di studenti e di critici, la meno appassionante, astratta, noiosa, troppo distante dalla vita umana, rispetto all’Inferno più ricco di eventi e di tragedie tremende ed esaltanti come quelle di Paolo e Francesca o del conte Ugolino. Ma c’è passione anche nel brivido mistico delle forme sublimi ed eteree dei nove cieli e così come recita l’ultima terzina del poema di Dante anche per noi il desiderio ed il volere si troveranno appagati, come una ruota che si muove di moto uniforme, «dall’amor che muove il sole e le altre stelle».
Andrea Velardi
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