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 2018  ottobre 22 Lunedì calendario

Nostalgia Iri

Mentre in Italia il pendolo si sposta dal mercato allo Stato, sotto la spinta di «sovranismi» e di ri-pubblicizzazioni, che cosa accade nel mondo? Se si considerano i principali 162 Paesi (quelli aderenti all’Onu sono 193), si può notare una tendenza complessiva, dal 1980 al 2015, verso una maggiore libertà economica. Questa tendenza, tuttavia, è corretta da un leggero regresso verificatosi negli ultimi quindici anni, regresso dovuto probabilmente alla recessione, che ha contribuito a un maggiore interventismo statale nell’economia.
I Paesi dove maggiore è la libertà economica sono Nuova Zelanda, Svizzera, Irlanda, Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Canada, mentre i fanalini di coda sono Venezuela, Libia, Argentina, Algeria, Siria, Congo.
Dati e percezioniQuesti dati si traggono da un importante rapporto del Fraser Institute, dal titolo «Economic Freedom of the World, 2018 Annual Report», da poco pubblicato, che, in circa 250 pagine, fa una radiografia delle relazioni tra Stato ed economia nel mondo. Questa ricchissima ricerca è fondata su dati obiettivi, non su percezioni. I dati sono tratti dalle statistiche del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale e del «World Economic Forum».
Il Fraser Institute ha costruito negli anni una seria di indicatori, con l’apporto di grandi economisti. Questi indicatori misurano libertà di scelta, libertà nei commerci, libertà di entrata nei mercati, libertà di concorrenza, protezione della proprietà, con numeri – indice relativi al peso dello Stato, al sistema giuridico, alla moneta, alla libertà di commercio internazionale, alla regolazione di credito, lavoro e impresa. Il rapporto, però, è completato anche da un capitolo che misura le percezioni e, quindi, gli orientamenti dell’opinione pubblica.
Effetto recessioneNei 35 anni che vanno dal 1980 al 2015, si registra, come notato prima, una leggera flessione del liberismo dell’ultimo quindicennio, dovuta probabilmente alla recessione del 2008. La flessione, tuttavia, non ha riguardato l’Asia (Cina Giappone e Corea), i Paesi dell’Europa dell’Est e India, Nigeria e Filippine.
Anche l’Italia ha registrato un leggero regresso della libertà economica nell’ultimo quindicennio, un regresso che ha portato il Paese al 54° posto nella classifica (in anni precedenti aveva conquistato il 27° e il 24° posto). Questo regresso è dovuto principalmente al peso dello Stato e alla disciplina pubblica dell’attività imprenditoriale, con segnali particolarmente preoccupanti che riguardano l’imparzialità delle corti giudiziarie, la protezione dei diritti di proprietà, il controllo sul movimento dei capitali e delle persone, le restrizioni alla proprietà e agli investimenti stranieri.
Redditi e felicitàSe si passa dagli indici obiettivi agli indicatori delle percezioni, si nota uno spostamento del pendolo dell’opinione pubblica dal mercato allo Stato, e, quindi, una tendenza all’attenuazione della pressione dell’opinione pubblica a favore della libertà economica.
Questi indicatori non sono soltanto importanti per comprendere ed analizzare i rapporti tra Stato ed economia. Gli autori del rapporto hanno riscontrato anche una forte correlazione tra il posto occupato dallo Stato nell’economia e altri importanti indicatori, quali il reddito della fascia più povera dei cittadini, le aspettative di vita, la sopravvivenza nel primo anno di vita, il riconoscimento dei diritti civili e politici, l’eguaglianza di genere e persino la felicità, nel senso che questi sono maggiori nei Paesi nei quali è assicurata maggiore libertà economica. Insomma, il liberismo economico va di pari passo con migliori condizioni di vita e maggiore civiltà.
Vecchi ricordiC’è una lezione che l’attuale governo dovrebbe trarre da questi dati. Essa riguarda la necessità di maggiore prudenza nell’annunciare e nel realizzare il ritorno dello Stato come protagonista della vita economica, che si tratti del salvataggio dell’Alitalia, o della utilizzazione della Cassa depositi e prestiti per ulteriori interventi statali, o del riscatto di imprese date in concessione. La mano statale, quella che ha dominato in Italia dagli anni ’30 agli anni ’90 del secolo scorso, ha fatto molti danni perché il mostruoso connubio di partiti ed economia ha portato a gonfiare imprese una volta in buona salute e, alla fine,ha condotto alla crisi del sistema delle partecipazioni statali.