Corriere della Sera, 22 ottobre 2018
Servizi (non soldi) per fare più figli
In Italia, da nove anni consecutivi, calano i nuovi nati. Nel 2017 abbiamo toccato quota 474 mila, la metà di quelli dei primi anni 60. Se non torniamo a fare figli diventerà difficile pagare le pensioni e la sanità per tutti gli anziani del Paese. Il Pil crescerà sempre meno perché, anche nella fortunata ipotesi del pieno impiego, ci saranno meno persone al lavoro. Nella legge di Bilancio si parla molto di pensioni e pochissimo di figli. Forse perché gli anziani, al contrario dei bambini, sono tanti e votano. Eppure analizzando i conti qualcosa si potrebbe fare, e senza spendere di più.
La domanda da cui partire è la seguente: gli italiani davvero non hanno più voglia di fare figli? La risposta è no. Come spiega l’Istituto degli innocenti di Firenze, le italiane tra i 25 e i 39 anni vorrebbero avere in media 1,85 figli ciascuna. Invece alla fine ne fanno meno di uno a testa (0,80). Spesso si rinuncia ai figli per due motivi legati tra loro: il timore di non avere abbastanza risorse per crescerli mantenendo uno standard di vita dignitoso e la mancanza di servizi a buon mercato, a partire dagli asili nido.
Posti al nido per 23 bambini su 100Oggi l’Italia spende 26 miliardi l’anno per le politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità (Eurostat, 2017). Distribuiamo risorse su una miriade di misure che molti nemmeno conoscono, senza aver mai fatto una verifica sui reali benefici. Nella pratica lo Stato preferisce mettere qualche soldo in tasca alle famiglie, trascurando i servizi. Solo 23 bambini ogni 100 possono aspirare a essere accolti negli asili nido; una percentuale cresciuta in questi ultimi anni, ma solo grazie al calo delle nascite. «In realtà è provato che i Paesi dove le disuguaglianze sono minori sono quelli in cui si punta sui servizi», fa notare l’economista della Cattolica Luigi Campiglio.
Il Mef non dice come spende i soldiPer capire come stanno davvero le cose, bisogna fare un po’ di conti, con l’inevitabile rischio dell’approssimazione, poiché il Mef non fornisce il dettaglio della spesa pubblica per la famiglia, quindi abbiamo dovuto ricostruirlo noi. Il risultato è quello che si vede dalla tabella di questa pagina. Le voci di spesa più basse riguardano i fondi per aumentare la copertura dei nidi (250 milioni nel 2018). Poi c’è un lungo elenco di bonus. Alla fine il grosso dei fondi riguarda le detrazioni per familiari a carico, proporzionate al reddito: 12,7 miliardi. Dentro ci sono anche le detrazioni per il coniuge a carico. A quanto ammontano? L’unica informazione che ci dà il ministero dell’Economia è questa: i coniugi a carico in Italia sono circa 3,9 milioni. Con una detrazione di 650 euro l’anno a testa (secondo la media registrata dai Caf della Cisl) il totale sarebbe di circa 2,5 miliardi di euro l’anno. Certo, non tutte queste detrazioni finiscono a famiglie che potrebbero fare figli, ma la maggior parte sì. Una spesa discutibile perché disincentiva il lavoro delle donne. Del resto, perché una mamma dovrebbe cercarsi un lavoro da 1.200 euro al mese, se la famiglia perde i 650 euro l’anno e in più deve pagarsi un nido che costa dai 500 ai 700 euro al mese? Resterà a casa e difficilmente farà il secondo figlio, perché con uno stipendio solo è difficile campare in quattro. Non a caso siamo il Paese dei figli unici.
Più asili e sconto sulla rettaAllora come si potrebbero spendere meglio questi soldi? Sarebbe utile intervenire su cinque punti. Il più urgente è aumentare i posti nei nidi e abbattere il costo delle rette (con la crisi anche chi riesce a entrare in graduatoria spesso rinuncia al posto perché non riesce a pagare). Secondo le stime dell’Anci, con 873 milioni di euro l’anno, si potrebbe portare la copertura attuale dei nidi dal 23,8% al 33%. Veniamo al costo delle rette. Con il bonus nido, per il 2019 lo Stato garantisce uno sconto di 90 euro al mese. Mettendo altri 600 milioni di euro su questa misura, lo sconto per famiglia salirebbe a 270 euro. Forse così chi non può contare sull’aiuto dei nonni prenderebbe coraggio. Da notare: oggi questo bonus viene erogato senza limiti di reddito, mentre avrebbe senso una soglia a scalare.
Detrazione sulle baby sitterTerzo: spesso il nido non basta. Chi ha figli lo sa: quando sono piccoli si ammalano spesso, inoltre il nido ha orari che non coincidono con quelli del lavoro, quindi è inevitabile il ricorso alla baby sitter. Di solito in nero, perché oggi gli sgravi per chi la assume in regola sono irrisori. Assindatcolf ha fatto un conteggio: una baby sitter che lavori tre ore al giorno dal lunedì al venerdì, in regola, a una famiglia costa circa 8.000 euro l’anno tra stipendio e contributi. Se lo Stato garantisse la deduzione di questa cifra dall’imponibile, la famiglia avrebbe in media un risparmio di 2.500 euro. Il costo per le casse pubbliche ammonterebbe a 245 milioni di euro l’anno, con il vantaggio di far emergere il nero.
Scuole aperte d’estateQuarto: a chi lasciare i figli da fine giugno ai primi di settembre, quando le scuole sono chiuse? Milano, Torino e Bologna stanno trovando soluzioni. A Bologna il Comune affida la gestione degli spazi, dentro le scuole, ad associazioni non profit. Le famiglie pagano una retta di 80-100 euro a settimana, che diventano 10-30 euro per chi ha un Isee sotto i 28 mila euro lordi l’anno, (gli altri 70 li mettono Comune e Regione). Visto che alla fine aderisce il 15% dei ragazzi tra i 3 e gli 11 anni (percentuale confermata anche nelle altre città), portando questi parametri a livello nazionale, con circa 300 milioni l’anno si potrebbe allargare il servizio su tutto il territorio.
Congedi ai papàUltimo punto: i congedi per i papà alla nascita del figlio. Oggi i giorni obbligatori sono due, e due facoltativi, ma dall’anno prossimo questa misura non ci sarà più. È invece cruciale confermarla ed estenderla fino a 5 giorni. Il costo per lo Stato passerebbe dagli attuali 23 milioni di euro a 50. In prospettiva si potrebbe salire fino a 15 giorni: le aziende più lungimiranti e in salute già lo fanno, pagando di tasca propria.
Il costo totale delle misure elencate è sui 2 miliardi, a fronte dei 2,5 miliardi delle detrazioni per coniuge a carico. Più che i soldi in tasca, sono i servizi ad incentivare le famiglie a fare progetti di vita, e la spesa pubblica andrebbe definita proprio in base alla sua efficacia. Si potrebbe partire da qui.