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 2018  ottobre 22 Lunedì calendario

Intervista a Steve Bannon: «L’Italia è un modello. Ma il governo ora aggiusti il bilancio»

L’Italia è un esperimento importante, dice lei.
«È il centro dell’universo politico».
Addirittura?
«Sì, perché state ridefinendo la politica nel ventunesimo secolo».
Steve Bannon, architetto della vittoria di Donald Trump nel 2016, ex stratega nella sua Casa Bianca, oggi presissimo dalla sua avventura politica europea, da giovane ha navigato su un Destroyer della US Navy. Parla ancora da marinaio: quelli del governo italiano, dice, si stanno facendo le loro «sea legs». Le gambe che servono a stare in piedi sul ponte quando sotto il mare si fa mosso.
In che senso?
«Ascolti, ho seguito la vostra campagna elettorale, i 5 stelle e Matteo Salvini. L’intensità, il dinamismo, l’energia, l’entusiasmo, i giovani».
Parla della capacità di innovazione in campagna elettorale?
«Non solo. Loro tiravano fuori le questioni fondamentali: la sovranità, cosa significa la cittadinanza, le migrazioni. E dopo ho visto la capacità di fare un governo che mette insieme Nord e Sud, sinistra e destra, una forza più populista e una più nazionalista. È l’equivalente americano di Trump che lavora con Bernie Sanders, si intendono su certe cose e governano insieme. È importante che gli italiani capiscano il profilo e il coraggio di Luigi Di Maio e Salvini. Amazing, incredibile».
Perché «amazing»?
«Entrambi hanno preso ruoli di governo dei quali dovranno rispondere, e non c’è politico al mondo il quale, avendo vinto, accetti che il capo del governo sia un altro. Invece si sono messi d’accordo che chi va al G7 o all’Oval Office a sedersi con Trump sarà una terza persona. Un mix unico al mondo. E nessuno dei problemi che devono gestire è stato causato da loro».
Eppure ora c’è una perdita di fiducia verso l’Italia. Non solo sui mercati: gli stessi italiani hanno iniziato a spostare soldi all’estero.
«Non lo definirei un collasso della fiducia. Credo si stiano facendo le loro sea legs. È un governo nuovo, stanno un po’ improvvisando. A Roma le strade saranno anche piene di buche, ma il M5S rappresenta la rivolta contro la corruzione. È una cittadinanza consapevole, che non è perfetta ma migliorerà. E sì, ci sono intoppi lungo la strada: ci saranno controversie tra il 2,4% o l’1,8% di rapporto deficit-Pil e sul contenuto di quel 2,4%».
Il problema sono le dimensioni del deficit?
«No».
Lo è la composizione del bilancio?
«Penso sia sulla sostanza di quello che fanno: le pensioni, queste cose».
Troppi sussidi, mentre la manovra dovrebbe incentivare imprese e produttività?
«Nel contratto fra M5S e Lega c’erano gli elementi di un’agenda per la crescita. La flat tax è una tassa che pagano tutti, anche i ricchi. Uno dei problemi con cui dovrete fare i conti in Italia è che i ricchi, gli industriali, sono riusciti a delocalizzare in altri Paesi, a mettere via i soldi in Svizzera e a non pagare. L’Italia è ricca, un Paese con una spinta imprenditoriale terrificante, artigiani incredibili. Ma pochi ingegneri. Uno dei problemi più grossi è la diaspora. Avete uno dei tassi più alti di laureati in ingegneria o scienze che se ne vanno in Germania, Gran Bretagna o Stati Uniti. Dovete fermare l’emorragia».
Pensa che ciò spieghi in parte il ritardo di crescita sul resto d’Europa?
«Al 100%. Ascolti: quelli dei M5S sono sotto pressione, l’impegno sul reddito di cittadinanza l’hanno preso. E poi l’altra questione sono le pensioni. Ma troveranno una soluzione».
Sembra di capire che lei vorrebbe una manovra con meno assistenzialismo e più spinta agli «animal spirits» dell’economia.
«Apprezzo le proposte di M5S. Ma date le condizioni finanziarie dell’Italia, devi fare i conti con un serie di fatti spiacevoli e uno di questi è che i mercati globali dei capitali e in particolare la Ue hanno un voto. Bisogna rendersi conto che ce l’hanno. La buona notizia è che non hanno il voto finale. Apprezzo che Salvini e Di Maio non si limitino a adeguarsi, sono pronti a resistere per gli italiani. Sul piano economico sono raffinati».
E se portassero l’Italia fuori dall’euro?
«Fuori dall’euro? No, ascolti: questa roba è per un altro giorno. Ora devono fare un bilancio che si focalizzi sulla crescita, si devono prendere cura del problema dell’economia: il capitalismo di relazione, l’evasione, il sommerso, la questione migratoria… Questo governo ha già abbastanza da fare, per ora. Devono anche pianificare le elezioni europee. Siamo lontani anni dal discutere l’euro. Quel che vogliono questi partiti è riformare la Ue. Non guardano all’uscita, puntano a un’unione di nazioni sovrane. Sono convinto che i Paesi debbano avere ciascuno la propria moneta. Ma c’è un accordo di trent’anni fa, fa parte della realtà».
Dunque il primo passo per i populisti italiani è vincere alle Europee?
«Il primo passo è un’attenzione maniacale alla situazione economica dell’Italia. Ora i leader hanno capito la reazione alla manovra di bilancio. Gli italiani devono capire che in giro per il mondo ci sono leader molto duri e focalizzati. Dunque, numero uno, il governo deve aggiustare l’economia».
E numero due?
«In vista delle Europee Salvini sta diventando una figura internazionale, giusto? Tra poco in Italia e in tutta Europa, nei bar il tema di conversazione diventeranno le Europee».
Non è un successo della Ue, essere diventata un unico spazio politico?
«Ma le gente inizierà a chiedersi cosa significa essere una nazione sovrana. Ricordatevi, la Bce e i tecnocrati volevano mettere lì (al governo, ndr) un altro tecnocrate, dicendo a due terzi degli italiani che il loro voto non conta. Ora invece arriveranno le Europee che obbligheranno gli elettori a pensare a cosa vogliono».
Cosa dovrebbero volere?
«C’è il progetto franco-tedesco, gli Stati Uniti d’Europa: più integrazione, più burocrazia che detta le regole. Salvini, il leader ungherese Viktor Orbán e altri sono il contrappeso. Le Europee sono una scelta fra Stati Uniti d’Europa o un’unione di nazioni sovrane».
Lei da trumpiano vuole indebolire l’Europa.
«No. L’America guarda all’Occidente giudeo-cristiano come a un blocco di nazioni indipendenti. Ma l’amicizia profonda con l’Europa è molto solida. Pochi in America capiscono la Ue. Capiscono la Germania, la Francia, l’Italia».
Che tipo di sostegno offre ai sovranisti europei?
«La possibilità di fare eventi insieme, dove la gente condivide idee. Poi faremo sondaggi in profondità, che non sono mai stati fatti nelle elezioni europee, su base nazionale, provinciale, sui segmenti sociali».
Costerà molto.
«Un paio di milioni di bucks, di verdoni. Ma ho dei donatori e ci metto anch’io dei soldi».
Donatori americani?
«No, no, europei facoltosi. Gente che ha venduto le proprie imprese o che è in là con gli anni e viene da origini operaie. Gente che vede nei populisti una voce per la gente umile, come me. Si ricordi, una delle differenze fra la politica europea e americana sono i soldi. Nelle presidenziali del 2016 sono stati spesi 4 o 5 miliardi di dollari. Salvini e Di Maio insieme non avranno speso neanche dieci milioni di euro».
Cosa è meglio?
«Credo al modello europeo. Ma io posso produrre analisi dei dati che individuano dove si trovano gli elettori per farli andare al voto. E posso fornire una war room a risposta rapida. Nel 2016 ne ho gestito una 24 ore su 24 per Trump: agende di cose da dire, risposte quando attaccano il candidato, gente da mandare in tivù. E l’Europa non ha abbastanza discussioni alla radio, che per i conservatori in America è una cosa massiccia. Stiamo pensando anche a quello».
E i social media?
«Lì sono gli italiani che hanno da insegnare a noi».