La Stampa, 22 ottobre 2018
Oltre il 50% dei giovani italiani lavorerebbe all’estero
Il lavoro vive una stagione di trasformazioni importanti. In Italia, negli ultimi due decenni, l’attenzione si è focalizzata esclusivamente sulla regolazione del mercato, dei diritti e delle tutele: dal Pacchetto Treu, passando per il Jobs Act, fino all’ultimo Decreto dignità. Ma non c’è solo il versante regolativo a essere intervenuto a modificare il lavoro. L’avvento delle nuove tecnologie e della Quarta rivoluzione industriale ha generato (e genererà) metamorfosi importanti, spesso anche radicali, che hanno toccato la vita dei lavoratori e le organizzazioni produttive.
Inevitabilmente, questi processi determinano ricadute anche su un altro piano, meno esplorato, eppure fondamentale: le culture del lavoro, l’orizzonte di valori ad esso attribuito. La ricerca Community Media Research per Ali (Magister Group) ha scandagliato se e come l’idea del lavoro fosse mutata fra le generazioni. Sono emerse alcune linee di frattura che attraversano le generazioni, e che rischiano di non essere comprese appieno a causa di un clima generale cupo sui temi del lavoro in Italia.
Rappresentazione sociale
In primo luogo, viene la rappresentazione sociale delle giovani generazioni e degli adulti che disarticola alcuni stereotipi correnti. Come la ricerca dimostra, non è vero che i giovani siano tutti uguali e che non attribuiscano un valore elevato al lavoro (89,2%), che anzi risulta essere più elevato rispetto alle coorti di età senior (75,6%, oltre 61 anni). In merito all’essere «bamboccioni» o «choosy», accusa diffusa fra gli adulti, non si nascondono, anzi appaiono critici verso i loro coetanei. Ma sentono di non poter essere ingabbiati in definizioni omologanti, perché hanno voglia di sperimentarsi, di imparare un mestiere o di sacrificarsi per il lavoro.
Grado di identificazione
In secondo luogo, che il lavoro sia un aspetto importante della vita delle persone è testimoniato dal grado di identificazione con la propria professione e, per chi lavora, con l’impresa in cui è occupato: il tasso di identificazione è assai elevato (86,3%), anche fra quelli che sperimentano occupazioni a tempo determinato e flessibile (73,7%).
E le coorti d’età più giovani spiccano per un grado di intensità ancora maggiore, soprattutto quando hanno un rapporto di lavoro stabile e indeterminato (93,2%).
In terzo luogo, se è vero che l’opinione si divide a metà su alcuni aspetti del lavoro, è altrettanto vero che le generazioni più giovani manifestano una maggiore apertura ai temi della flessibilità, all’idea che il lavoro dovrebbe poter sviluppare percorsi di carriera e di crescita professionale (56,6 per cento), più che essere pensato come un posto garantito o valutato meramente attraverso il criterio della remunerazione (43,4 per cento).
Dunque, la maggioranza vede (e cerca) nel lavoro la possibilità di un’autorealizzazione personale, di autonomia, di costruzione di un itinerario professionale. E ciò non è in contrasto con la richiesta di stabilità e garanzia.
Aspetti simbolici
Hanno un peso rilevante anche gli aspetti simbolici connessi al lavoro. Prevale un orientamento meritocratico (50,8%) e solidale-meritocratico (44,5%) in tema di giustizia sociale sul lavoro. Non più remunerazioni appiattite o visioni collettivistiche (4,7%), vanno premiati i talenti individuali. I valori attribuiti al lavoro vedono ai primi posti – soprattutto fra i giovani – la realizzazione personale (83,8%), l’autonomia (80,1%) e la crescita (77,1%) come aspetti prioritari.
Mutamenti culturali
Siamo di fronte, quindi, a mutamenti culturali profondi e radicati che coinvolgono trasversalmente buona parte della popolazione, ma che ha nelle giovani generazioni una diffusività più rilevante. Un cambio d’epoca dimostrato anche dalla graduatoria della stratificazione sociale del prestigio assegnato alle professioni. Operaio (36,7%), contadino (37,9%), e figure come il commerciante, negoziante (37,0%) e l’artigiano (53,1%) che hanno contrassegnato lo sviluppo del Paese, perdono ai loro occhi di valore, a favore di dirigenti (85,0%) e imprenditori (79,5%). Ridefinendo, così, anche le aspettative nei confronti dei lavori e delle occupazioni ambite.
Aspetti critici
Nello stesso tempo, emergono alcuni aspetti critici. Non si può prescindere dal clima generale, venato di negatività, sui temi del lavoro che accomuna il «sentiment» della parte maggioritaria degli italiani. I leggeri risvolti positivi del Pil richiederanno tempo per manifestare una ricaduta reale sulle famiglie e sui redditi. Il riflesso crea una contrapposizione anche fra i giovani: le iniziative per i servizi a favore del lavoro dovrebbero puntare sui Centri Pubblici per l’Impiego (44,4%) o sulle Agenzie private (55,6%)? Meglio rimanere in Italia per fare carriera (49,4%) o andare all’estero (50,6%)? Nel clima di incertezza che avvolge il lavoro, va da sé che la ricerca di elementi di garanzia diviene una strategia perseguita dai più. Di qui, si comprende perché la ricerca di un posto garantito e il poter lavorare in un ufficio pubblico stiano in cima ai desiderata soprattutto fra i più giovani (40,2%). Nell’indeterminatezza generale, aumenta la necessità di determinatezza.
L’insieme di questi aspetti rende il futuro del lavoro un ambito di sperimentazione interessante, ma nello stesso tempo rischioso: pone il problema di una possibile polarizzazione fra inclusione ed esclusione dai mercati del lavoro. La sfida è costruire i prerequisiti utili a sviluppare le competenze delle persone affinché sappiano cogliere le possibilità e le opportunità che il mercato può e potrà offrire. In questo senso, le attuali giovani generazioni appaiono come esploratori senza una bussola.