La Stampa, 22 ottobre 2018
Muore precipitando nel vuoto l’uomo più potente di Macao
Dopo la vicenda di Meng Hongwei – già capo dell’Interpol, sparito nel nulla prima di essere messo sotto indagine dall’autorità anti-corruzione cinese – un altro mistero potrebbe scuotere la vita politica della Repubblica Popolare. Nella serata di sabato l’uomo più potente di Pechino a Macao è morto dopo essere saltato nel vuoto da una finestra della sua casa nella capitale asiatica del gioco d’azzardo. Stando a una laconica nota dell’Hong Kong and Macau Affairs Office della capitale cinese, Zheng Xiaosong, 59 anni, «soffriva di depressione». Già vice-governatore della ricca provincia orientale del Fujian, Zheng all’ultimo Congresso del Partito Comunista era diventato membro del Comitato Centrale, poche settimane dopo aver assunto l’incarico di capo del Liaison Office: l’ufficio di collegamento tra Pechino e la regione amministrativa speciale di Macao. Come la vicina Hong Kong, dalla fine degli Anni 90 anche l’ex-colonia portoghese è tornata sotto il controllo delle autorità della Repubblica Popolare seguendo la formula di «un Paese, due sistemi», che garantisce a Macao ampia autonomia amministrativa, oltre al privilegio di essere l’unica parte del territorio cinese dove è consentito il gioco d’azzardo. Sebbene non si abbiano notizie di un coinvolgimento di Zheng Xiaosong in qualche indagine per corruzione, il suo suicidio sta alimentando una ridda di speculazioni secondo cui l’uomo di collegamento tra Pechino e Macao fosse in procinto di finire vittima della campagna anti-corruzione di Xi Jinping. Negli ultimi anni sono state decine i funzionari cinesi che si sono tolti la vita. Secondo una recente ricerca dell’Accademia delle Scienze Sociali, tra il 2009 e il 2017 in Cina si sono suicidate almeno 283 persone che facevano parte della nomenklatura. Numeri piccoli se paragonati al numero totale di suicidi che ogni anno si verificano nel Paese, anche se gli esperti ritengono che tra i funzionari cinesi l’incidenza a togliersi la vita sia almeno del 30 per cento più alta rispetto alla media delle aree urbane. Sentito dal Global Times, Zhao Guoqiu, psicologo e consulente del ministero della Pubblica Sicurezza di Pechino, puntava il dito contro stress e scarso equilibrio vita-lavoro. Sebbene sia sempre difficile trovare un rapporto di causa-effetto in questi gesti, molti analisti tendono a collegarli agli scandali per tangenti. Fin da quando nel 2012 Xi Jinping ha lanciato la campagna anti-corruzione, che ha perseguito centinaia di migliaia di burocrati pubblici, il numero di suicidi tra i funzionari è in crescita. Oltre a perdere la faccia, nella Repubblica Popolare essere accusati di corruzione significa perdere tutti i titoli (compreso quello di «compagno», dopo l’espulsione dal Partito Comunista), c’è il sequestro delle fortune accumulate, mentre l’inevitabile confessione può trascinare nella polvere l’intera rete di amicizie e clientele. Visto che in Cina dopo la morte del sospetto l’indagine si ferma, secondo gli analisti, il suicidio può rappresentare un disperato tentativo per i funzionari pubblici di difendere famiglia, patrimonio e fazione politica di appartenenza.