il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2018
Intervista a Ermal Meta
“C’è questo libro in cui Tiziano Terzani dialoga con il figlio Folco. La fine è il mio inizio. Gli racconta di un giorno drammatico in Cambogia. Era stato catturato dai Khmer Rossi. Ragazzini di neanche vent’anni, carichi di armi, pervasi da un isterico furore. Lo avevano accerchiato, stavano per sparargli in faccia. Terzani ricordò il consiglio di un suo collega giornalista, che gli aveva detto: ‘Se ti puntano un fucile addosso, decisi ad ammazzarti, tu comincia a ridere’. E così fece. Attaccò a ridere a crepapelle, e quelli restarono sbigottiti. L’espediente gli consentì di guadagnare tempo fino all’arrivo del capo dei Khmer. Terzani gli spiegò che non era un infiltrato, ma solo un reporter straniero deciso a dar voce alla loro causa. Lo lasciarono andare. Nessuno può uccidere chi azzarda una risata fanciullesca davanti a un’arma”.
Lo avevano ipotizzato anche nel Sessantotto, caro Ermal Meta.
E non era stata una brutta idea. Per salvare il mondo dobbiamo utilizzare la nostra, di arma.
Sarebbe?
La difesa della bellezza.
Come sosteneva anche Dostoevskji.
Non possiamo piegarci alla bruttezza dei nostri tempi. Vogliono imporcela? Allora resisteremo. Siamo l’esercito della gentilezza. Le persone felici e sorridenti hanno la possibilità di cambiare le cose, di spazzare via l’odio insensato che ci circonda e al quale rischiamo di rassegnarci.
L’odio insensato, soprattutto sui social.
L’odio quotidiano su internet fa pena. Questo voler offendere senza motivo, e a tutti i costi, è una resa senza condizioni alla nostra dark side of the moon, al lato oscuro che è dentro tutti noi. Ai ragazzi ripeto: non ci cascate, non siate la tela bianca su cui vengono proiettate idee altrui. Fatevi una vostra opinione. Non siate teste di legno, di quelle cui puoi dare forma con uno scalpello. Trasformatevi in acciaio. Non sto parlando di politica, occhio. Ma di un’esigenza di civiltà.
Dopo il Non abbiamo armi tour dell’estate scorsa lei andrà a cercare altra bellezza con una nuova campagna live. A febbraio partirà un giro di 18 concerti acustici con gli Gnu Quartet, in alcuni dei più suggestivi e prestigiosi teatri italiani.
Ne cito alcuni? L’Arcimboldi di Milano, il Massimo di Palermo, il Bellini di Napoli, Santa Cecilia a Roma, il Petruzzelli nella mia Bari. Ripartirò in questo viaggio per spellarmi l’anima un’altra volta. So che i miei compagni d’avventura, gli Gnu Quartet, sapranno dare un fascino inusuale a canzoni proposte in veste inedita. Anzi, dapprima spogliate dei loro arrangiamenti originari, e poi rivestite.
Le canzoni spogliate si lasciano ascoltare solo quando sono sincere e ispirate, altrimenti rivelano soltanto trucchi e miserie.
Già: le canzoni denudate sopravvivono al freddo solo se hanno una tempra resistente. Se sono state scritte bene. Quando le vedi nascere devi curarle con immensa premura, perché decidono loro dove andare. Sceglieranno il percorso, e tu le devi accompagnare verso la musica che pretendono.
In quei teatri dovrà entrare in punta di piedi.
Con umiltà e rispetto. I muri di quei luoghi sono impregnati di tutta l’arte che hanno contenuto nel corso dei secoli. Hanno trattenuto per sempre la musica, la prosa e la poesia che è stata offerta su quei palchi. E tu che ci cammini sopra lo senti. È come suonare un pianoforte di cento, duecento anni. Sai che nelle sue corde sono rimaste impigliate tutte le note che vi sono state suonate. Sei in compagnia di fantasmi illustri, e devi inchinarti a loro.
Di solito i cantautori si comportano in modo più spavaldo.
Non servirebbe a nulla. Chi ha la caratura morale e artistica per atteggiarsi a divo? L’unica cosa da fare è tentare di proporre cose buone. Mostrandosi entusiasti e fiduciosi. Servirebbe un “patentino della passione” per lavorare. Tu mostralo, fammi vedere come lo hai ottenuto, e io deciderò se vale la pena seguirti.
Tre giorni fa è uscito il suo nuovo singolo, 9 primavere, corredato da un video che parla della fine di un amore duraturo. Le canzoni che parlano di sentimenti sono le più rischiose. Il tema è eterno, ma dannatamente usurato.
Il punto non è inventarsi qualcosa di nuovo, ma come dici le cose che provano tutti. Quello fa la differenza.
Poi ci sono le canzoni toste. Come era stata Vietato morire per la violenza sulle donne, e Non mi avete fatto niente sul terrorismo, condivisa con Fabrizio Moro. Quante ce ne possono essere di queste, nella carriera di un cantautore, senza che lo schiaccino con il loro peso?
Non moltissime, immagino. Ma anche qui: i temi importanti non possono essere taciuti, se fanno parte di una quotidianità che ci fa paura. Quando non avremo più bisogno di gridare queste cose saremo in un mondo migliore. E potremo dedicarci solo alle canzoni d’amore.
A proposito: nei giorni scorsi vi siete lanciati messaggi, con Moro. L’amicizia è solida, le consultazioni sono in corso…
(ride) Non mettiamo il carro davanti ai buoi. Ci sentiamo, sì. Ma il 2019 sarà lungo, calma.
Com’era la storia di voi due che state per presentarvi di fronte alle telecamere a Sanremo?
Fabrizio arriva con un vestito assurdo, sembrava un pescatore. Gli dico: “Dov’è la canna?”. Lui risponde mortificato: “Ma perché, che ha? Me l’hanno regalato ieri…”. Io gli lancio uno sguardo eloquente e lui si arrende, va a cambiarsi, bofonchiando: “Sto rompicojoni…”.