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 2018  ottobre 22 Lunedì calendario

I quotidiani sono ancora influenti. Lo dice uno studio di Yale

Sono l’esemplificazione più netta della libertà di pensiero, contribuiscono al pluralismo d’informazione. Sono il fiore all’occhiello dei quotidiani, la loro carta d’identità. Escono intrisi e profumati d’inchiostro, vengono letti al mattino, ma commentati fino a tarda sera. Impreziosiscono le giornate, talvolta contribuiscono ad orientare l’opinione pubblica. La loro lettura, accompagnata magari da un buon caffè, c’è chi ancora la considera un momento sacro della giornata. Parliamo degli editoriali. Le forme più alte della libertà di opinione, che per inciso è tra i primissimi diritti sanciti dalla società illuministica, esemplificativa la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789. Lo stesso Kant, nello scritto Sul detto comune del 1793, definì la «penna» come «l’unico Palladio della libertà». Nell’Ottocento proprio la libertà di pensiero costituì il primo mattone dell’edificio della politica liberale, fondata sul trinomio, tanto bistrattato di questi tempi: stampa, parlamento, partiti. Proprio i tre pilastri che gli esponenti del Movimento 5 Stelle intendono scardinare. C’è infatti chi si augura la morte della carta stampata, chi addirittura ritiene il parlamento superato e chi sostiene che i partiti siano ormai «tutti morti». Da tempo. Proprio per contrastare questo compendio di farneticazioni, molto spesso rilanciate a colpi di tweet, privi di un substrato culturale, gli editoriali assumono oggi il ruolo di Diogene di Sinope, colui che aveva acceso una lanterna in pieno giorno per andare alla ricerca dell’uomo. E della sua anima, intesa socraticamente come intelligenza e coscienza. Costituire la coscienza civile dei cittadini è proprio il fine ultimo e più nobile degli editoriali, che a loro volta garantiscono il pluralismo d’informazione, che è la vera anima della democrazia. Termini, significati e concetti diametralmente opposti a quella che oggi tende a configurarsi come oclocrazia, letteralmente potere alla pancia del popolo.
DEMOCRAZIA DEGENERATAUna forma degenerata di democrazia alimentata dai continui cinguettii giornalieri, che negli ultimi tempi sembrano avere decisamente più presa nell’opinione pubblica. Soprattutto perché innescano la cosiddetta strategia del contro-tweet, una devastante ammucchiata di considerazioni striminzite, che offendono il dibattito serio, argomentato e costruttivo avanzato dagli editoriali. Che, tuttavia, hanno tremendamente risentito della crisi della carta stampata. Il paradosso drammatico a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha riguardato proprio l’equiparazione della crisi dei giornali con quella che ha investito tutti i partiti politici. Due crisi parallele e strettamente connesse tra loro, se consideriamo che i partiti e la carta stampata sono i parametri di riferimento delle moderne democrazie occidentali, ma che hanno indotto parte dell’opinione pubblica a considerare i giornali come ?istituzioni? di un impianto democratico ormai superato. Disinformazione, fake news e manipolazione digitale, tre parole (purtroppo) più che mai attuali, chiaramente facilitate dall’esplosione dei social network, hanno così imperversato e influenzato non poco la nostra quotidianità. A frenare questa inquietante tendenza ci ha pensato uno studio della Yale University, che ha sancito come gli editoriali siano ancora in grado di modificare l’opinione pubblica. A dimostrarlo due esperimenti condotti dalla prestigiosa università americana e pubblicati sul Quarterly Journal of Political Science. Uno su 3.567 persone comuni, l’altro su 2.169 intellettuali (giornalisti, esperti di legge, professori). In entrambi i casi i partecipanti sono stati suddivisi a loro volta in due gruppi. Il primo aveva letto 5 editoriali dei principali quotidiani Usa su questioni delicate e divisive come cambiamenti climatici, tasse sul reddito, spese per i trasporti. Il secondo non aveva letto gli articoli. Sia per quanto riguarda il pubblico generalista, sia per quanto riguarda gli intellettuali, gli editoriali sono stati in grado di modificare l’attenzione dei lettori. Dopo la lettura, il 65-70% dei volontari concordava con le idee degli autori. Nel gruppo che non aveva letto gli articoli meno del 50%. Dunque, il potere persuasivo degli editoriali risulta intatto e duraturo. Non solo, concludono i ricercatori, rimangono fondamentali per i giornali: «Con un solo investimento tra 50 centesimi e 3 dollari a lettore si può ancora far cambiare opinioni ai cittadini». Un dato è incontrovertibile: gli editoriali, contrariamente ai tweet, aiutano a far riflettere, inducono il lettore ad approfondire il fatto di rilevante attualità trattato e contribuiscono a plasmare la coscienza civile dei cittadini.