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 2018  ottobre 22 Lunedì calendario

La vittima del Bataclan che si è inventata tutto

Sul braccio sinistro, si era addirittura fatta tatuare Fluctuat nec mergitur, il motto di resilienza dei parigini contro gli attacchi terroristici che il 13 novembre 2015 hanno segnato per sempre la storia della capitale francese. Poi aveva posato per l’Afp indossando una corona di fiori e dicendo che quel tatuaggio che si era fatta incidere il giorno dopo gli attentati copriva la cicatrice di sei centimetri che le aveva provocato un proiettile di kalashnikov. Ma in realtà, Alexandra Damien, parigina di 32 anni, era soltanto una delle false vittime che hanno approfittato della tragedia del 13 novembre di tre anni fa per truffare il fondo incaricato di risarcire le persone che quella notte maledetta sono state realmente colpite dai jihadisti. «Questo dossier è segnato dalla cupidigia», aveva riassunto a luglio il procuratore al termine del processo, chiedendo diciotto mesi di prigione per la ragazza.

RAGGIRI SENZA PIETÀ
Il tribunale, tre giorni fa, ha deciso invece di condannarla a sei mesi, per «truffa» e «falsa testimonianza». Nel dettaglio, la Damien ha truffato il Fondo di garanzia delle vittime del terrorismo e altre infrazioni penali (Fgti) ottenendo 20mila euro, ma ha raggirato anche l’Associazione francese delle vittime del terrorismo (Afvt), grazie alla quale aveva beneficiato di uno stage terapeutico di una settimana in un hotel in Normandia nel giugno 2016. Con lei, sono 15 le false vittime condannate per aver truffato o aver provato a truffare il fondo di garanzia negli ultimi due anni, ma il suo caso è il più eclatante, proprio perché aveva organizzato tutto nei minimi particolari fin dal 14 novembre, ossia il giorno dopo la mattanza del Bataclan. Come riportato dal Figaro, pochi mesi dopo gli attentati che hanno causato 130 morti e 354 feriti, Alexandra Damien ha iniziato a presentarsi in diversi palcoscenici televisivi, spiegando di essere stata colpita da una pallottola di kalashnikov mentre era seduta nel dehors del bar Le Carillon, nel Decimo arrondissement di Parigi, uno dei luoghi in cui il commando di Salah Abdeslam ha colpito. Nelle interviste, mostrando un volto sofferente, diceva che il tatuaggio che si era fatta era un «simbolo di resilienza» e per rendere più mediatica la sua testimonianza raccontava che un uomo morto era «caduto su di lei» e che due dei suoi amici avevano perso la vita. Peccato che fosse tutto inventato. I primi a dubitare sono stati i membri di Life for Paris, associazione dedicata alle vittime di cui la 32enne faceva parte. Ma dopo i dubbi, trasmessi alla procura con conseguente apertura di un fascicolo, è arrivata la conferma: un video, girato dalla Cnn, in cui la Damien dichiara piangendo di essere una cliente fissa del Carillon, ma di non esserci andata, per miracolo, il 13 novembre 2015. «Sono qui per dirvi che sono colpevole», ha ammesso in lacrime davanti ai giudici, prima di aggiungere: «È la più grande deriva della mia vita». Durante l’udienza, è emerso che la foto della cicatrice che aveva diffuso sui social network, e di cui si era servita per chiedere un risarcimento al Fgti, era in realtà legata a un incidente avvenuto mentre praticava kitesurfing. Una storia molto simile a quella di Laura El Louizi, 24 anni, condannata il 21 novembre 2016 a sei mesi di prigione.

BUGIE E PRETESE
Un mese dopo la strage del Bataclan, si era presentata al commissariato con un braccio bendato. Agli inquirenti, inventandosi tutto, aveva descritto l’orrore vissuto al Carillon, i corpi morenti dei suoi amici, la ferita sul braccio che la faceva soffrire tremendamente. Poi, per ottenere un risarcimento da parte del Fgti, aveva creato un dossier con dei falsi certificati medici e trasmesso una serie di foto delle “sue” ferite che in realtà aveva trovato su internet. «Quello che ho fatto è inammissibile», ha detto ai giudici, evocando il figlio appena nato e il suo bisogno di soldi. Florence Monjault, l’altra falsa vittima di cui si è molto parlato sulla stampa francese, ha truffato «tutti gli organismi» legati al 13 novembre 2015, ha dichiarato il responsabile di Life for Paris. Facendo leva sul suo statuto di vittima, aveva anche provato a ottenere una casa popolare dal comune di Parigi. La stessa, che dovrà ora scontare 4 anni e mezzo di carcere, era già stata condannata tre volte per truffa. «Sono dei comportamenti scandalosi che rappresentano un’ulteriore sofferenza per le vere vittime», ha attaccato Julien Rencki, direttore generale del Fgti. E non è finita, perché altri tre dossier sono in attesa di giudizio.