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 2018  ottobre 22 Lunedì calendario

Da Hong Kong a Macao, il ponte dei record

Il ponte dei record che sarà inaugurato domani in Cina, non è un ponte, ma la metafora del dragone orientale che sfida l’Occidente. E se lo mangia. Dopo averlo avviluppato tra le sue spire. Che, in questo caso, sono cavi di acciaio e piloni di cemento. «Cinquantacinque chilometri che velocizzeranno i collegamenti tra Cina, Hong Kong e Macao», annuncia la stampa Il serpente asfaltato più lunghi del mondo, in grado di resistere (teoricamente) a qualsiasi terremoto, tifone o altra calamità naturale. Almeno è quanto assicurano i progettisti, che però sono un po’ come gli osti cui si chieda se il loro vino è buono. Credergli sulla parola si può, ma resta un atto di fede. 
Il super ponte è completato da due isole artificiali e un tunnel sottomarino di quasi 7 chilometri. Un’opera ingegneristica (costato 20 miliardi di dollari e la vita di 10 operai morti nel cantiere durante i lavori) che sputa lingue di fuoco e getta nelle fiamme dell’inferno chi (come in Italia) i ponti li costruisce male e in tempi biblici; e, in più, ne trascura la manutenzione fino a farli crollare. È accaduto a Genova, con conseguenza catastrofiche; è successo in varie parti del nostro Paese con effetti meno drammatici, ma solo per circostanze fortuite. Intanto i rischi restano altissimi e lo stato di degrado in cui versano molte strutture non lascia tranquilli. Il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, si limita a mettere le mani avanti: «Altre tragedie potrebbero ripetersi». Da un ministro, forse, ci si aspetta qualcosa di più. 
Per realizzare il «colosso» che fa gonfiare d’orgoglio il petto del presidente Xi Jinping (domani presente all’inaugurazione) sono state necessarie 400 mila tonnellate di acciaio, quattro volte e mezzo la quantità utilizzata per il Golden Gate di San Francisco. 
In Cina il «gigante» unirà le tre grandi città sul delta del Fiume delle Perle, nella provincia sud-orientale del Guangdong, avvicinando la regione amministrativa speciale di Hong Kong a Zhuhai, con un viaggio di soli 45 minuti contro le attuali quattro ore; contemporaneamente Macao sarà raggiungibile da Zhuhai in appena 15 minuti. Sintesi perfetta tra tecnica, arte e funzionalità. Un monumento alle capacità umane sospeso sul mare, che include un tunnel sottomarino di 6,7 chilometri collegato al ponte attraverso due isole artificiali. Il cantiere faraonico fu inaugurato nel 2009 ed è stato chiuso oggi, con due anni di ritardo rispetto ai tempi prestabiliti: «onta» per la quale i responsabili del progetto hanno già chiesto «umilmente scusa» al Paese. Idem per gli arresti di alcuni funzionari accusati di corruzione e che – se le mazzette con gli occhi a mandorla verranno provate – rischiano di rimanere in carcere per il resto dei loro giorni. Qualche polemica anche per l’«impatto ambientale» del ponte, ma si sa che da quelle parti gli ambientalisti vengono zittiti senza perdere troppo tempo. 
Intanto media e osservatori evidenziano come «l’opera verrà inaugurata pochi giorni dopo la diffusione di dati che evidenziano un rallentamento dell’economia cinese, in un contesto di guerra commerciale con Washington». 
E infatti le autorità locali presentano il ponte come uno «strumento cruciale per rilanciare l’export cinese, abbattendo tempi e costi di trasferimento, oltre ad incentivarne il turismo». Eppure restano in tanti a rimanere scettici circa l’effettiva utilità del ponte: secondo i detrattori del progetto «i collegamenti marittimi, aerei e ferroviari esistenti sono più che sufficienti, quindi la spesa non varrebbe il risultato». 
Sul fronte dietrologico, invece, ad Hong Kong si sospetta che il ponte rappresenti «l’ulteriore tentativo di Pechino di accrescere la sua ingerenza sull’ex colonia britannica, con una valenza molto più politica che economica». 
Inevitabile, in Cina, che anche un ponte si tinga di giallo.