Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2018
Quanto costa quota cento
La pensione subito con “quota 100” per un operaio 62enne con uno stipendio netto di circa 1.600 euro può costare fino al 21% di assegno Inps. Una “decurtazione” che scende all’8% se l’uscita anticipata dal mercato del lavoro con la nuova anzianità è solo di un 1 anno e tre mesi anziché di 5 anni e tre mesi rispetto ai requisiti di vecchiaia. La rinuncia all’assegno pieno oscilla invece tra l’11% e il 5% per l’impiegato 64enne con una retribuzione da 2mila euro netti che sceglie di lasciare l’ufficio dai tre anni a un anno e tre mesi prima.
In attesa della versione finale del disegno di legge di Bilancio che il governo dovrebbe trasmettere alle Camere entro fine mese, ecco i primi calcoli che i quotisti possono fare prima di decidere se cogliere o meno l’opzione anti-Fornero. Le stime sono state fornite in esclusiva al Sole 24Ore da Tabula, la società di ricerca di Stefano Patriarca, ex consigliere economico a palazzo Chigi per i Governi Renzi e Gentiloni. Con un anticipo di tre anni e tre mesi un operaio in possesso di 40 anni di contributi vedrebbe ridursi il proprio assegno mediamente del 14%, mentre un impiegato con gli stessi anni di versamenti e un anticipo di tre anni perderebbe il 9 per cento. L’anzianità della tuta blu costerebbe allo Stato 69.900 euro per tutto il periodo di anticipo rispetto alla vecchiaia. Una “tassa implicita” che salirebbe a quasi 100mila euro con anticipo di 5 anni e tre mesi, quindi “quota 100” precisa, mentre scenderebbe a 32.500 euro con un solo anno e tre mesi di anticipo.
«La manovra consente il pensionamento da 62 anni con 38 di contribuzione, e cioè a un’età e con un livello di versamenti che rende la pensione superiore a quanto motivato dai contributi» spiega Patriarca. Ecco in cifra quanto vale il nuovo “privilegio”: per chi si trova nel cosiddetto sistema misto (cioè con 18 anni di contributi versati prima della riforma del 1995) e che l’anno prossimo maturerà 62 anni di età e 38 anni di versamenti, l’uscita scatterebbe con due anni in meno rispetto all’età di equilibrio contributivo (64 anni, da confrontare con i 67 anni e tre mesi della vecchiaia e soli 20 anni di contributi). Chi invece è ancora agganciato al sistema di calcolo retributivo (più di 18 anni di versamenti al dicembre ’95) e ha cumulato 41 o 42 anni di contribuzione può beneficiare di un vantaggio che oscilla dai tre anni e cinque mesi ai quattro anni e quattro mesi rispetto alla vecchiaia a 64 anni e tre mesi e 63 e tre mesi. Come spiega Patriarca, con anzianità contributive superiori ai 41 anni, «per produrre pensioni correlate al livello di contributi pagati, occorrerebbero – sottolinea – età di pensionamento maggiori a 65-66 anni e non certo di 62, o addirittura più basse, come si realizzerebbe portando il limite per l’uscita a prescidere dall’età a 41 anni di contributi». Si tratta dell’obiettivo finale di superamento della riforma Fornero indicato da Matteo Salvini e previsto dal programma del governo gialloverde.
Tornando alle “penalizzazioni” sull’assegno, vale ricordare che con “quota 100” la pensione viene incassata fino a cinque anni in più e «nel complesso della vita la riduzione si annulla – fa notare Patriarca – anche se rimane in ogni caso il dato della minore pensione mensile che sotto certi livelli potrebbe comprometterne l’adeguatezza». A determinare la riduzione dell’assegno sono almeno tre fattori: il diverso coefficiente di trasformazione a 62 anni, i cinque anni di minori contributi e l’effetto rivalutazione sul montante, ipotizzando una crescita costante sia del Pil sia dello stipendio del lavoratore. Nei giorni scorsi Inps aveva dato una quantificazione analoga della riduzione legata all’anticipo: fino a 500 euro in meno al mese nel caso di un pensionando della Pa (montante a calcolo retributivo fino al 2011 e contributivo negli anni successivi) che esce con uno stipendio annuo di 40mila euro: con cinque anni di minori versamenti anziché prendere una pensione di 36.500 euro annui si fermerebbe a circa 30mila.
Le conclusioni di Patriarca mettono sullo stesso piano le “pensioni d’oro” che la maggioranza ha preso di mira e le nuove anzianità. Con queste nuove misure «non solo determinano uno squilibrio finanziario statico che si colma con più debito pubblico, ma si determinano le condizioni per un aumento dello squilibrio dinamico e un aggravamento del problema delle pensioni non giustificate dai contributi pagati che non è certo o solo di quelle d’oro».