Libero, 22 ottobre 2018
L’uomo che fa belle le malate di cancro
Nessuno può entrare in quella stanza d’ospedale mentre Bruno Giusti fa il suo lavoro. È a tu per tu con la donna di turno, che seduta su una sedia, con la veste che pende ai lati, dà le spalle allo specchio. Bruno crede sia meglio che l’ammalata non si guardi in faccia per evitare di vedere d’un tratto il capo diventare calvo. I capelli cadono a ciocche, il rumore del rasoio fa da sottofondo al continuo chiacchierare di quel parrucchiere quasi ottantenne. Sono dieci anni che si è messo a disposizione delle donne malate di cancro. Ne ha viste passare più di seimila sotto il suo sguardo quieto. «Non faccio entrare nessuno mentre le raso: potrebbe essere troppo doloroso», racconta. A volte pure lui si commuove a vedere i lunghi boccoli finire per terra come serpenti morti. Quando può, accorcia soltanto le loro chiome, rende più belli quei volti solcati dalle grinze minacciose della malattia. «Quando sono ragazzine, di vent’anni è difficile assisterle», spiega. Esce per cinque minuti se serve: si sciacqua la faccia e rientra più allegro e ciarlone di prima. Perché Bruno è così. Un fiume in piena. Quando entra nei reparti oncologici chi riesce a fermare quella parlantina toscana. Racconta dei suoi traguardi. Lui che da semplice parrucchiere, a 66 anni si è rimesso sui libri. Si è diplomato in ragioneria e poi ha conquistato più di un titolo di laurea. Nulla di più semplice da come ne parla. Ha girato il mondo, «mi manca solo l’Australia e spero di andarci prima o poi!». TRE GENERAZIONI E poi s’è fermato, di nuovo in Italia. A Portoferraio, comune dell’Isola d’Elba, dov’è nato, nel 2006 ha cominciato ad acconciare le pettinature delle malate di cancro. Taglia i loro capelli sfibrati per le terapie. Da lunghi a più corti. Aggiusta le frange, i ciuffi, i colori, le tinte e i colpi di sole per spazzare via dai volti asciutti quella dannata malattia. Il rumore delle forbici che si aprono e chiudono quasi rimbomba nelle stanze bianche dell’ospedale di San Rocco e si confonde con il flusso delle medicine che scendono dai tubicini delle flebo. D’altronde lui di forbici, capelli e parrucche ne sa da almeno tre generazioni. Suo nonno, Orfeo, è stato il primo barbiere dell’Elba, il padre Arnaldo suo seguace, nonché la madre Lucia parrucchiera. A 13 anni Bruno, già aveva imparato l’arte del taglio e i suoi segreti. «Ma con le donne malate è un’altra storia», spiega, «non è un lavoro, lo faccio come volontario. Non ci guadagno nulla». DA TUTTA ITALIA Oggi le donne lo chiamano da tutta Italia per ricevere consiglio per nuove acconciature. Si ricorda per esempio di una ragazzina di Bari che quasi dieci anni fa si era chiusa in stanza. Aveva impuntato i piedi con la caparbietà da diciottenne, ancora un po’ bambina e incline ai capricci. Ma quella era una questione seria. I suoi capelli li voleva tenere a tutti costi così come erano. Al diavolo quella chemioterapia che gli avrebbe strappato via la chioma che adorava tanto. Bruno, col camice bianco, si è infilato nella stanza della giovane. «I suoi genitori non volevano che la ragazza indossasse una parrucca, mentre lei aveva detto che non sarebbe uscita da quella stanza se non con il suo esatto taglio di capelli. Così in poco tempo ho fatto l’impossibile. Sono riuscito a convincerla a farsi rasare e ho realizzato una parrucca identica ai suoi capelli. I genitori, quando è uscita dalla stanza, non si sono nemmeno accorti che non era la sua vera chioma», racconta. «NECESSARIO» Bruno, infatti, sa come prendere le pazienti. «Capita spesso che le donne piuttosto di rasarsi i capelli, preferiscono non curarsi», spiega. «Io le convinco invece che quello è un passo necessario». Lui le studia a puntino. I medici, ormai, si fidano e gli fanno vedere l’elenco delle terapie che le donne dovranno affrontare. «Alcune cure oggi non causano più le calvizie», spiega. «Faccio realizzare delle parrucche artigianali, non utilizzo coloranti che possano fare male alle pazienti in base alla terapia che devono fare». A volte, poi, le parrucche rimangono sul comodino delle malate, senza mai essere indossate. «Io non consegno la parrucca finché non cadono i capelli. Loro sanno che quando vorranno, potranno indossarla. Questo le aiuta molto».