il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2018
Intervista a Isabella Ferrari
Amiche da trenta e passa anni, ma non per modo di dire, le reali gioie, gli inevitabili dolori; confidenze, confronti, viaggi, cene senza limiti di orari, “e tra le due io sono quella più affidabile: lei all’improvviso scompare e senza dire nulla; però nella nostra vita abbiamo condiviso veramente molto, e in qualche modo con questo film si è completato un cerchio”. Da una parte Valeria Golino come regista, dall’altra Isabella Ferrari protagonista insieme a Valerio Mastandrea e Riccardo Scamarcio di Euforia, pellicola in uscita nelle sale, non una semplice saga famigliare, ma un intenso specchiarsi tra veri rapporti umani, messi a nudo davanti a un dramma e ai suoi tentacoli su certezze e presunte aspettative.
Valeria Golino l’ha stupita.
No, perché avevo già visto Miele, film bellissimo, e poi la sceneggiatura di Euforia l’ho letta con un’avidità rara, incollata a quelle pagine, dove è riuscita a passare dalla commozione alla commedia e senza mai perdere la sua centralità.
Non banale.
L’unico timore era di ritrovarmi sul set con lei, diretta dalla mia migliore amica; temevo di deluderla.
Un po’ di imbarazzo.
È mia sorella, tra noi c’è una confidenza totale; al contrario, durante le riprese di una delle scene più intense e complicate, è arrivata e mi ha piazzato la mano sulla spalla come a ricordarmi i dolori di questi anni vissuti insieme. Se ci penso mi tornano i brividi.
Vi basta uno sguardo.
Conosco Valeria da quando avevamo vent’anni, incrociate in aeroporto, direzione Torino: la guardo e la trovo bellissima, zingara, esprimeva padronanza di se stessa; mentre io mi trinceravo in un atteggiamento impostato.
I classici opposti.
Dopo due ore eravamo in albergo a scambiarci i vestiti. Da quel giorno non ci siamo più lasciate, e in certi casi l’amicizia può diventare simile a un matrimonio.
È gelosa della Golino?
Non è un’emozione inquadrabile, perché di lei ho sempre ammirato la totale libertà, la propensione e la capacità di non esserci. È imprendibile.
Ci resta male?
Solo da giovani, quando spariva a lungo o mi dava una buca; oggi la questione è digerita, fa parte di lei, mentre a parti inverse non so se mi avrebbe perdonato (e scoppia a ridere).
Nel film l’ha invecchiata.
Interpreto una donna distrutta dall’abbandono di un marito per una più giovane e dal dramma di vedere lo stesso coniuge ammalarsi. Quindi è giusto così. E poi questo è un problema continuo con tutti i registi…
Quale?
Mi hanno sempre accusata di essere troppo bella.
Dino Risi anche peggio…
Lui mi ha massacrato: ancora ho negli occhi la scena di lui con il megafono in mano, alle sei del mattino e dentro un bosco, mentre urlava ‘cagnaaaaa’. E avevo solo vent’anni. Tornavo a casa distrutta, convinta che questo lavoro non fosse per me.
Lo ha più rivisto?
Quasi tutti i giorni, perché vivevamo nella medesima strada, io con il passeggino, lui super elegante, brizzolato, abbronzato, affascinante e ogni volta con la sua tipica erre moscia mi diceva che ero ‘la più bella e la più brava’.
Le ha mai rivelato la sofferenza di quel set?
Mai trovato il coraggio, però non è stato l’unico regista feroce: spesso torturano per spronarti a trovare quello che neanche tu sai di possedere.
È giusto?
Non lo so, ma non ho mai frequentato una scuola, ho imparato tutto sul set, film dopo film.
Anche Ettore Scola?
Uomo molto ironico, leggero, ma allo stesso tempo colto come pochi altri: incontrarlo è stata una svolta; e poi mi prendeva spesso in giro, e l’ho ringraziato a lungo per avermi tenuto nonostante la gravidanza al settimo mese: si concentrò quasi solo sul viso, e con lui ho vinto la Coppa Volpi.
Spesso i suoi ruoli sono molto drammatici.
E quando ero più giovane non ero in grado di liberarmi dei personaggi che interpretavo, pensavo che portandoli a casa sarei rimasta più concentrata e centrata; da un po’ di anni ho imparato a entrare e uscire, basta una doccia e muta il mio panorama emotivo.
Anche con il personaggio in Euforia?
Sì, e nonostante Valeria sia una regista che ti mette su un binario di verità: è la sua più grande qualità.
Cos’altro ha scoperto di un’amica che conosce da 34 anni?
Che sul set è molto più presente e attenta di quanto potessi immaginare; e poi ho capito che il mio personaggio è la sintesi dei nostri caratteri e delle nostre esperienze. (ci pensa) Attenzione: spesso mi chiudo e mi blocco, non convivo sempre con Isabella Ferrari, a volte la metto da parte.
Serve a prendere fiato?
Ma no, mi piace tantissimo, e da tempo sono riuscita a riconciliarmi con quell’immagine: la vivo con maggiore serenità, anche se non è stato semplice.
Tutto troppo e troppo presto?
Questo percorso l’ho iniziato da giovanissima e per volere di mia madre: lei desiderava diventare attrice, e ha impostato la mia vita per esaudire un suo sogno.
Lei, no…
Non volevo deluderla, e per me era fondamentale la sua approvazione; le chiedevo sempre consigli, nonostante la mia non sia una famiglia di intellettuali, ma di origini contadine; così fin da giovanissima sono diventata miss ovunque, sono una sorta di Bellissima di Visconti.
Subito i riflettori.
Sì, buttata su una passerella da quando ho 15 anni.
Con i suoi tre figli evita lo stesso percorso?
Alla fine mia madre mi ha stimolato, credo si possa convivere con la volontà di un genitore di segnare una strada; a volte è anche doloroso il contrario, quando hai una prole senza obiettivi e ambizioni.
Nihil difficile volenti.
Mia madre mi ha donato un’ossessione che probabilmente da sola non avrei colto; però ho impiegato anni a capire tutto questo, a non derubricare come “assurdo” questo perenne stimolo.
Sa dire di “no” ai figli?
Con grande fatica, al massimo offro dei consigli, ma cerco di non impormi.
Questo lato lo ha analizzato molto.
Per forza, è il punto chiave della mia vita; forse non è chiaro: mia madre è stata presente pure per il mio provino al cinema, quando sono arrivata a Roma per incontrare i fratelli Vanzina, senza sapere nulla di set, completamente ignara delle dinamiche.
Si è dichiarata fortunata nell’aver incontrato Carlo Vanzina.
Lui dolcissimo, paziente, gentiluomo, elegante e in grado di mettere su schermo un lato di me non studiato; di scovare un ruolo in grado di darmi immediata popolarità.
Selvaggia è un personaggio che va oltre il film.
Appunto, e non potevo immaginarlo mentre giocavo a ruba bandiera con Massimo Ciavarro: all’improvviso si sono aperti i portoni, contratti su contratti, proposte a ripetizione; la vita vivisezionata attraverso interviste e presunto gossip: a un certo punto ho quasi perso il punto di partenza.
Nel 2015, ben prima del caso Weinstein, ha denunciato l’alto numero di “bestie dentro al mondo del cinema”.
Oggi mi tolgo da questa commecializzazione del #MeToo: trovo inutile pubblicare i nomi dopo trent’anni, e qualcuno è morto; mentre è un’assoluta pagina di storia quella del movimento delle donne e quando ho sentito Asia Argento raccontare certe situazioni ho pensato: ‘Cacchio che coraggio, non ci sono riuscita’.
Quindi?
Come madre ne beneficeranno le generazioni successive alla mia, perché l’abuso di potere l’ho stravissuto, solo che allora non si diceva, in qualche modo pensavo fosse la norma.
Ad agosto sul Fatto Valeria Golino ha dato una risposta simile.
Magari da giovanissima mi sono trovata davanti a un produttore che mi chiedeva di togliere maglietta e reggiseno e camminare nuda ‘per vedere come ti muovi’…
E lei?
Accettavo per la mia voglia di cinema, e anche se mi fermavo lì, oggi mi rendo conto della violenza subita, e non è vero che se tu non lo vuoi non succede. Succede. Magari non torni più su quel divano…
Ha mai cercato di nascondere la bellezza?
Alcuni registi hanno tentato di imbruttirmi, e negli anni alcune persone mi hanno suggerito di rispondere ‘sì, avrei preferito non essere così’, ma non è vero, sto bene con me stessa.
Cosa ne pensa del rapporto tra cinema e Netflix?
Credo abbia innescato un cambiamento epocale e irreversibile, una rivoluzione con cui si deve convivere; tornare indietro è impossibile, un po’ come la storia degli influencer.
Ne è incuriosita?
Oramai l’influencer vince sull’attore, tutto è in vendita: a Cannes ho visto scansare Isabelle Huppert per una star dei social.
A quale ruolo dice “grazie”?
Oltre a Sapore di mare? A Distretto di polizia e allora scegliere una serialità rispetto al cinema veniva giudicato come una totale follia.
La dissuadevano.
In tutti i modi, magari con l’amica che mi diceva: ‘Guarda che Amelio non ti chiamerà più’, e su questo mi angosciavo, riflettevo, mi ri-angosciavo.
Al contrario…
Un successo incredibile, ero diventata quasi una santa: un giorno al mercato ho dovuto mettere una mano sulla testa di un bambino; poi un pomeriggio incontro per strada proprio Gianni Amelio che mi bacia e abbraccia con una certa fretta: ‘Scusa ma devo correre a casa, questa sera c’è l’ultima puntata di Distretto. Non posso perderla’.
La nemesi.
Gioia vera.
I personaggi così popolari escono dallo schermo.
Quando andavo all’aeroporto di Fiumicino neanche mi controllavano, mi dicevano solo ‘prego commissario’.
Perché ha lasciato?
Un po’ per la nascita del mio terzo figlio, mi sono trovata incinta alla partenza della serie con le costumiste impegnate a lavorare sulla mia pancia, finché ho partorito praticamente in scena: la mia ostetrica ha partecipato al parto simulato, e alla fine entro nel commissariato esattamente con il mio piccolo appena nato.
Un reality
Più o meno sì!
Insomma, perché l’addio?
Volevo allattare e la produzione non poteva aspettare un anno, in più ritenevo fosse utile uscire da quel ruolo per non restare chiusa, e lì è stato fondamentale mio marito (Renato De Maria, ndr)…
In cosa?
Bravissimo nello scrivere la sceneggiatura di Amatemi, e regalarmi un personaggio che dopo quello della Scalise mi ha aperto le porte di una serie di film importanti.
Come dicevamo è quasi sempre molto seria sullo schermo…
Un po’ sì, non c’è niente da fare, e solo il teatro mi ha tolto in parte quella maschera: in quel contesto sono riuscita a sperimentare la vena ironica: strappare una risata è una soddisfazione assoluta.
Lei sul palco.
Mi isolo, non posso incrociare l’occhio di alcuno in platea: quando affronto il teatro non ho mai leggerezza e la tensione mi avvolge tutta la giornata, per questo non lo posso vivere a lungo. Ma c’è anche chi sta peggio di me… (e ride)
Il nome.
Nella commedia della Comencini, l’intero gruppo, compresi i vigili del fuoco, era preoccupato per Margherita Buy: lei chiusa nel bagno e noi a tirarla fuori.
Alla fine?
Stremati e lei gigantesca sul palco. È veramente simpatica, è un’amica.
Chi l’ha iniziata al teatro?
Forse Mariangela Melato, e per me allora era dio in terra; è stata lei a mandarmi le cassette dei suoi lavori per stimolarmi e darmi dei punti di riferimento, poi mi ha sempre seguito, e prima dei debutti veniva in camerino per gli ultimi consigli o a insegnarmi come si prendono gli applausi.
Come, gli applausi?
Non ero in grado, per timori assurdi e imbarazzi mi nascondevo, non vedevo l’ora si chiudesse la scena: lei se ne accorse e me lo disse.
I suoi capelli sono considerati dei capisaldi da molte donne…
Scherza?
No.
Non lo sapevo. E pensare che per me sono una reale ossessione: per ogni ruolo parto da loro, mi domando come il personaggio potrebbe portarli, e mi diverte moltissimo.
È celebre anche per delle lunghe passeggiate nei film.
Mi è capitato spesso e amo il non detto; amo i lunghi piani sequenza come ne La lingua del Santo, in Saturno contro o La grande bellezza.
Nel film di Sorrentino recita una battuta storica.
Quello scambio con Servillo è bellissimo, quando mi domanda: ‘Cosa fa nella vita?’ e rispondo ‘Io? Sono ricca’: un gioiello di sintesi e visualità.
Lei regista.
Io? Non ci ho mai pensato, non mi interessa. E questa è la differenza con Valeria.