il Giornale, 21 ottobre 2018
Intervista alla figlia di Guglielmo Marconi
Eccoci. Entriamo da dove lui se ne andò. Palazzo in cui, da un secolo, vive la famiglia Marconi, via Condotti, Roma. Dal portone di fronte allo storico «Caffè Greco», passando dal cortile dove oggi spicca la targa marmorea – «QUI GUGLIELMO MARCONI ABITÒ E DIFFUSE I RAGGI DEL SUO GENIO IMMORTALE» -, uscì la bara per i funerali di Stato, 21 luglio 1937, cui parteciparono le massime autorità politiche, compreso il capo del Governo Benito Mussolini, e il mondo accademico italiano al completo – ecco là Pirandello, qua D’Annunzio -, oltre a una folla impressionante. Mezzo milione di persone. Il giorno prima – evento entrato nella leggenda – la notizia della morte di Guglielmo Marconi fu accolta dalle stazioni radio di tutto il pianeta con due minuti di silenzio.
In silenzio, entriamo: un vecchio ascensore Stigler di inizio ’900, due piani, ed eccoci negli appartamenti di Elettra Marconi, la figlia. Ottantotto energici anni («Arrivo da Bologna, dieci giorni fa ero a Madrid, e adesso mi vogliono a Napoli dove stanno organizzando una mostra su Marconi...»). Una mise impeccabile («Un dono che ho ereditato da mamma: una donna sempre perfetta, in ogni occasione»). Un salone traboccante di storie e di Storia («Questo è un busto in marmo di mio padre, quello che lo raffigura in maniera più fedele, qui c’è la foto di mia madre con Pio XII, lì alla parete il ritratto di mio nonno, generale brigadiere della Guardia nobile pontificia...»). Un titolo nobiliare (Elettra Marconi è principessa: suo marito, Carlo Giovanelli, morto due anni fa, era erede di un nobile casato imparentato con il patriarca di Venezia e due pontefici). Una ferrea fede cattolica («Papà nel 1927, in seconde nozze, sposò la marchesina Cristina Bezzi Scali, di nobile famiglia romana, molto influente in ambienti vaticani...»). Un figlio che ha ereditato il nome, Guglielmo, e l’aplomb, molto british, del nonno. E una vita da raccontare. Questa.
Principessa Elettra...
«Tengo molto al mio nome. Lo scelse papà: così aveva chiamato la sua nave-laboratorio su cui effettuò moltissimi dei suoi esperimenti, e non solo di radiofonia, tra le due guerre mondiali. Negli anni Venti e Trenta l’Elettra solcò le acque di tutti i mari del mondo. E fu a lungo la nostra casa, ci passavamo mesi interi. Io nacqui nel 1930».
A Civitavecchia.
«In realtà dovevo nascere sull’Elettra. Ma papà, quando mia madre stava per partorire, presagì l’arrivo di una burrasca e, all’ultimo momento, decise di tornare a terra, a Civitavecchia. Ci fermammo nella villa che ci aveva messo a disposizione il principe Odescalchi, amico di famiglia. Lì nacqui io. E fui Elettra».
Come madrina di battesimo ebbe la regina d’Italia, Elena.
«E come celebrante il cardinale Eugenio Pacelli, che poi fu Papa Pio XII, molto amico della famiglia di mia madre, i Bezzi Scali... L’aristocrazia nera romana...».
Marconi coi papi andava d’accordo.
«Realizzò il primo collegamento radio al mondo tra Vaticano e Castelgandolfo... Ci sono le foto di lui con Pio XI che guardano i lavori dalle impalcature».
Era credente?
«Era un uomo di scienza, ma di fede. Studiava la Natura e contemplava la Creazione».
Amato in Vaticano e in ottimi rapporti con la famiglia Reale.
«Nel 1904 papà voleva creare una stazione radio per i Paesi balcanici e scelse come base quella di Antivari, nel Montenegro, l’attuare Bar nella Serbia. E la regina Elena era la figlia del re del Montenegro...».
E con il Duce, come erano i rapporti?
«Mussolini stimava moltissimo mio padre. È lui che lo convince a tornare in Italia, dopo che era andato già dal 1896 in Inghilterra a fare le sue ricerche. Mussolini gli diede appoggi e cariche. Veniva a bordo dell’Elettra. Io ero piccola ma ho dei flash... In quegli anni andavano d’accordo».
Poi?
«Poi Mussolini si alleò con Hitler. Mio padre era contrario all’asse con la Germania. Era anglofilo e antitedesco. Andò a Palazzo Venezia a scongiurare il Duce di non entrare in guerra contro l’Inghilterra. Sapeva che sarebbe stata la rovina dell’Italia, e glielo disse. Ma Mussolini gli rispose: Dite questo perché Vostra madre era inglese. Mio nonno nel 1864, infatti, aveva sposato una giovane irlandese, Annie Jameson, nipote del fondatore della storica distilleria Jameson&Sons che era in Italia per studiare musica... Comunque, papà tornò molto depresso dall’incontro».
Però il Duce gli concesse i funerali di Stato.
«Papà era lo scienziato più famoso del mondo in quel momento. Un genio la cui invenzione aveva fatto del bene a tutta l’umanità. Le posizioni politiche a quel punto non c’entravano più niente. Al suo funerale c’erano tutti. I gerarchi, cittadini comuni, gli artisti... Mio padre era stato amico di tantissimi scrittori e musicisti: Caruso, Puccini, Pirandello, D’Annunzio, che appoggiò nell’impresa di Fiume... Erano amici fin dalla Prima guerra mondiale, stessi ideali patriottici...».
Marconi fu italianissimo, ma legatissimo, per via della madre, all’Inghilterra.
«Trascorse molto tempo in Inghilterra, e lì studiò a lungo. Nel 1897 fondò a Londra quella che poi sarà la Marconi Wireless Telegraph Company. E la prima trasmissione senza fili la effettuò da Ballycastle, in Irlanda del Nord, all’isola di Rathlin, nel 1898. Poi stabilì un ponte radio tra la residenza estiva della regina Vittoria e lo yacht reale sul quale c’era il principe di Galles, il futuro Edoardo VII...».
Suo padre conosceva Churchill, e anche Lei, principessa, lo incontrò...
«Papà lo vedeva spesso in Inghilterra in quegli anni... pranzi, ricevimenti, weekend nella campagna inglese... Molti anni dopo, quando mio padre non c’era più, un giorno, mentre ero a Venezia per la regata storica, a Palazzo Volpi, sul Canal Grande, incontrai Churchill. Era la fine degli anni Cinquanta, lui era sulla sedia a rotelle. Mi ricordo sua moglie, Clementine Hozier, era affettuosissima con lui. Mi parlarono di mio padre...».
La sua, tra un padre premio Nobel e uno yacht come casa, fu un’infanzia particolare.
«Fu un’infanzia meravigliosa. Eravamo sempre in viaggio, Londra, Cornovaglia, Irlanda... L’Elettra aveva 25 persone di equipaggio: era il nostro mondo e il laboratorio di papà. Me lo ricordo chiuso nella cabina, dove studiava e faceva gli esperimenti con la radio. Ogni tanto mi chiamava per farmi sentire le voci dal mondo. Per me tutto ciò che mi mostrava era come una magia. Qualcosa che non posso dimenticare».
Cosa è indimenticabile?
«Avevo sette anni quando morì, eppure mi ricordo bene. Mi sorrideva sempre. Sul ponte della nave mi spiegava la navigazione. Rispondeva alle mie domande come fossi un adulto. Mi raccontava – a me, bambina – del modo in cui era passato dalla onde lunghe alle onde corte...».
A 21 anni aveva già inventato la radio, a 35 aveva vinto il premio Nobel per la Fisica. Un uomo di un’intelligenza eccezionale.
«E di un entusiasmo contagioso. E poi aveva classe. Ovunque lo accoglievano come un capo di Stato. Nel 1931, per dare prova dell’efficienza delle comunicazioni radio intercontinentali, da Roma, attraverso i trasmettitori di Coltano, vicino Pisa, accese le luci del Cristo Redentore di Rio de Janeiro».
Era celebre in tutto il pianeta.
«Nel 1933 lui e la mamma fecero il giro del mondo. Negli Stati Uniti, a Washington, furono ospiti alla Casa Bianca del presidente Roosevelt che gli offrì un treno privato per attraversare il Paese. Quando arrivarono a Hollywood sembravano dei divi. Guardi questa foto: sono con Charlie Chaplin. Il produttore che fondò la Metro Goldwyn Mayer rimase incantato dalla bellezza di mia madre e le propose di fare un film per lui. Ma papà era gelosissimo. Si immagini... E poi erano sempre insieme, non si separavano mai. E quando papà è morto, lei è rimasta sola per 57 anni. Non si risposò».
In effetti, trovare qualcuno che possa competere con un premio Nobel non è facile.
«Non era solo quello. Mio padre era elegante, aveva humour ed era generosissimo. Era facile innamorarsi di lui».
Si erano conosciuti in Versilia.
«A Forte dei Marmi, dove mia madre andava con la famiglia da quando aveva due anni, ed era ancora un villaggio di pescatori. Si conobbero a bordo dell’Elettra. Quella sera mio padre dava una festa e lei era stata invitata da amici comuni. Mamma salì la scaletta: giovanissima, bionda, bellissima, vestita di rosso. Lui la vide e fu un colpo di fulmine. Non si separarono più e tornarono sempre al Forte per le vacanze».
Anche Lei ci va da una vita.
«Da quando avevo diciott’anni. Difficile abbia saltato un’estate. Alla Capannina con i milanesi: i Borromeo, i Castelbarco, i Branca, che conobbi prima lì che a Milano. E poi il Bagno Piero... E poi i giri in bicicletta per le stradine del quartiere Roma Imperiale con Paola di Liegi. Il Twiga, in barca a vela coi Corsini...».
È una donna mondana.
«No. Una donna alla quale semplicemente piace nuotare e ballare».
E viaggiare.
«Sempre. Australia, Brasile, America. Un po’ per piacere, un po’ obbligata dal nome che porto. Mi invitano ovunque per celebrare mio padre. Il viaggio più bello? Sul transatlantico Guglielmo Marconi costruito dalla Lloyd Triestino di navigazione: io e mamma fummo ospiti d’onore del viaggio inaugurale, un giro del mondo Genova-Sydney nell’autunno-inverno del 1963. Polinesia, Nuova Zelanda, ogni sera una festa. Non volevamo più tornare».
Però, alla fine, è sempre tornata qui, nel palazzo di famiglia, a Roma.
«Perché mi sento romana, anche se non devo farmi sentire dai bolognesi, visto che papà nacque lì, e Bologna rivendica il nome Marconi. Roma continuo ad amarla, anche nel suo disordine e nei suoi guai. È brutta e sporca? Ma cosa importa, è Roma. La sporcizia passa, la Storia resta. Come i suoi colori e il suo cielo. Ho visto tutte le città del mondo e non ce n’è una bella come Roma».
E l’Italia?
«La amo molto, come tutti, nonostante tutto. Mi accorgo di tutto ciò che la deturpa e la offende. Ma resta il mio Paese. C’è un’Italia che non vorrei più vedere: quella furba e menefreghista. E poi c’è l’Italia che adoro: quella orgogliosa e onesta, l’Italia che ho imparato ad amare – io che sono per un quarto di origini irlandesi – grazie a mio padre, un uomo che quando era presidente dell’Accademia d’Italia, dal ’30 al ’37, non ha mai portato una volta me o mia madre sulla macchina di Stato. Dovevamo seguirlo su quella di famiglia. Non sgarrava nemmeno sulle piccole cose. Chissà vedendo la corruzione di oggi cosa direbbe...»
Lei cosa direbbe di suo padre?
«Che passò la sua esistenza e mise tutto il suo genio al servizio di un unico pensiero. Migliorare la vita dell’uomo. Inventando la radio, ce l’ha fatta».
E Lei, principessa, ascolta la radio?
«Sempre! La mia radio piccolina, che mi porto ovunque. La sento in bagno al mattino quando mi vesto, quando sono a casa, e me la porto anche in barca. È una grandissima compagnia. E in qualche modo è come se sentissi sempre mio padre. Così non mi lascia mai».
Cosa le ha lasciato suo padre?
«Mi ricordo le giornate sull’Elettra. Ero piccola. E lui stava studiando il modo per estrarre l’oro dal mare. Sarebbe stata l’invenzione perfetta, diceva. Con delle strane apparecchiature filtrava dei sottilissimi fili d’oro dall’acqua. Vedi Elettra – mi spiegava -, esiste l’oro rosso, l’oro verde e l’oro giallo. Poi riempiva dei piccoli bicchieri di fili d’oro colorati. E me li dava, in segreto. È il mio tesoro. Ecco cosa mi ha lasciato mio padre».