Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  ottobre 21 Domenica calendario

Elogio del vino di Gianni Brera

Orgoglio d’un uomo è bere e capire sempre quel che si faccia, non solo bevendo. Prima attraversi a nuoto il Po traditore e la tribù ti promuove a vir in potenza. Ma sarai vero uomo se saprai bere mantenendo costantemente il cervello a pelo di brentina. Gino Agnelli, poeta, ti insegna a tradurre il pavese in italiano esaurendo poderosi «volumi» di Redavalle. Alla terza damigiana ci sarebbe già l’editore. Puoi anche dispensare consigli, allora. Maneggia la bottiglia con circospezione di chi sposti un bucchero prezioso. Investi il cameriere con i tuoi stessi quarti di nobiltà ma troppo ignorante per sapere che una bottiglia di vino non è aranciata né una birra; che non si versa facendola glugluare, ma lentamente, così che non abbiano a sollevarsi le feci posate sul fondo. Impedisci a chiunque di riempirti il bicchiere rimasto a mezzo dopo l’ultima mescita: non vale dire che, tanto, è lo stesso vino: ogni bottiglia infatti ha una sua anima. Da come tratta la bottiglia, prima e durante la mescita, induci la cultura enoica del tuo ospite. Molta gente crede che bastino i quattrini per bere bene: si può bere anche male con vino ottimo, benché sia assiomatico e inevitabile il bere male con vino cattivo.
Risiedi a lungo in Francia e scopri l’organizzazione, la quale non può essere inciviltà. I francesi hanno selezionato le piante (ceps) e le vigne (crus). Il loro clima è più stabile del nostro, i loro vinificatori hanno potuto definire al meglio lo standard del vino prodotto. Essi fanno il vino con una tecnica insigne: spinta all’eccesso, lo priva tuttavia del suo carattere più sincero.
Quando la tecnica di vinificazione è eccessiva, hai l’impressione, bevendo, di baciare una donna troppo truccata: sempre donna è, ma forse andrebbe meglio al naturale. Comunque, non esageriamo: una Venere priva di tecnica e di pulizia può disgustarti, così come ti può attirare una racchietta che almeno sia brava e pulita.
Impari in Francia che il sommelier è un’istituzione in decadenza ma ancora viva. Egli ti consiglia i vini secondo i cibi che hai scelto: stura alla tua presenza, versa con la debita cautela un bicchierino di prova: non te lo porge, lo lascia accanto al coperto o sul vassoio: aspetta di vedere se meriti veramente tanta attenzione: digli grazie e annusa con lieve movimento a spirale: deve bastarti il fiuto a capire: lui ti dice grazie a sua volta se il vino è «comme il faut» e confida in una mancia degna dei buoni consigli. Scopri che cambiar vino non è un pericolo, bensì una necessità se non proprio un dovere. Gli sbronzi del tuo paese contadino hanno inventato la comoda fandonia dell’ultimo bicchiere diverso che li avrebbe traditi. Si cambia qualità di vino per ogni cibo: agli antipasti, bianco secco freddo; per certi pâtés (terrines maison) buono anche il bianco con una vena di dolce, come l’hanno i bordolesi. E qui ricordo con orgoglio pane, salame e moscato delle mie colline; e poi le inebrianti picchiate a valle, con il Po balenante riverberi sornioni dalle sue anse affondate fra i salici. Brillat-Savarin ha codificato: Vercesi e Brambilla non ne hanno sentito il bisogno: certe consuetudini, a loro, bastava goderle.
Sul pesce e sui fritti di mare, ancora bianco. Sulle rane piatto forte pavese bianco secco se sono fritte, Barbacarlo o Barbera se sono in guazzetto. Sulle lumache alla bourguignonne, nessuno ti vieta di preferire il rosso allo chablis o al pouilly; sulle lumache in guazzetto, come si fanno da noi, lascia dire i cerebrali e bevi rosso: polenta e vino bianco sono di accostamento difficile, a meno che non si tratti di cinque terre (dietro la cornice, quei liguri hanno le nostre abitudini, e mangiano un po’ più sapido perché hanno sull’uscio la flora odorosa del Mediterraneo).
Sulla carne, vino rosso e mai freddo. Qualcuno ostenta di pasteggiare a champagne: se ti accorgi che lo fa per strabiliare, digli che sa di turacciolo: non si merita altro.
Non ti formalizzare ai nomi né alle etichette: meglio un onesto plebeo di un nobile degenerato. Così, non spasimare sugli anni di cantina: certe solenni sturate sanno di liturgia e meritano rispetto: ma il vino, come le donne, è buono all’età giusta.
I francesi parlano di parfum per i bianchi e di bouquet per i rossi. Non siamo tanto pignoli: diciamo che un vino è profumato, che ha un aroma, se ce l’ha. I cugini dicono anche chaud di un vino forte, alto di gradazione; complet di un vino che ha tutti i requisiti del suo standard; dur di un vino duro, senza velluto, che manca di moelleux, di morbidezza; enveloppé, involuto, per dire che scappa in bocca, non ha corpo, non è rotondo né pieno; frais, cioè fresco, quando vi è armonia fra tenore alcolico, acidità ed estratto (componenti tanninici, salini, sospensioni fecali ecc.); fruité, d’un vino che sa veramente di uva; sec, secco detto dei bianchi; vert, acerbo, che allega i denti.
Noi definiamo i vini con gli stessi aggettivi e con qualche altro, come pulito, fluido, liscio, razzente, amaro, abboccato, vivo, molle, spento, maturo, giusto, focoso, vellutato, denso, pesante, dotato anzi affetto da retrogusti, compatto, sincero...
Si capisce che si può bere anche senz’avere precisa cognizione di tutto questo: ma allora non si ha nemmeno il merito degli animali, che si dissetano bevendo gratuita acqua. E chi beve per mero vizio di gola o con fini distorti, subito lo vedi: gluglueggia con l’epiglottide come le bottiglie mal inclinate alla mescita: per delicato e nobile che sia, il vino se lo pompa come un’oscena birra: e si nutre di quello come potrebbe un amante della poesia mandando a memoria una composizione in lingua sconosciuta: i soli suoni non bastano: e così le sorsate.
(testo del 1986, prefazione al libro La strada dei vini in Lombardia, edito da Pifferi, ora ripubblicato dalla casa editrice De Piante con il titolo Così si beve il vino)