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 2018  ottobre 21 Domenica calendario

Pannunzio: il vizio di rompere i tabù e lo scoop nel Dna

Li chiamavano gli «inglesi» o gli intellettuali british, non solo per l’ottima qualità delle flanelle dei loro abiti ma anche e soprattutto per il loro stile giornalistico «anticonformista con tono pacato e scrittura pulita»: era il gruppo di redattori, filosofi, economisti e scrittori che diede vita al quotidiano  Risorgimento liberale, diretto dal mago della carta stampata Mario Pannunzio. Giornalista, regista, scrittore, critico cinematografico, Pannunzio trasformò il giornale del Partito liberale nato nell’agosto 1943 in una delle pubblicazioni più innovative del dopoguerra. E poi travasò molte firme - e addirittura rubriche, come le pungenti  Lettere scarlatte - nell’altro suo capolavoro giornalistico,  Il Mondo. 

L’anima europea
In questi giorni ricorrono 70 anni dalla chiusura di Risorgimento liberale e a febbraio del 1949 altrettanti anni ci separano dalla nascita della successiva creatura pannunziana. Queste due pubblicazioni così collegate tra loro aprirono la strada al migliore giornalismo italiano. Quale fu il loro segreto? Pannunzio era stato il discepolo più creativo del caustico Leo Longanesi nella palestra antimussoliniana di Omnibus. Con Risorgimento liberale tentò una scommessa: buttò alle ortiche l’abito grigio e spento di una pubblicazione di partito e optò per un’elegante mise aggressiva. E nelle classifiche postbelliche raggiunse le centomila copie. Chi furono i suoi interlocutori? Per primi i giovani: Pannunzio si rivolgeva ai ventenni che avevano vissuto l’orrore della guerra, proponendo un giornale antifascista, progressista, laico ed europeista. Non era uno slogan: grandi padri del quotidiano furono Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Quest’ultimo, prima dell’elezione a presidente della Repubblica, pubblicò articoli molto moderni sulle politiche contro le diseguaglianze e sul federalismo europeo. 
L’Europa veniva indicata come il più saldo baluardo contro il rischio di nuove guerre. In stretto collegamento con l’ambasciatore Nicolò Carandini e con Leone Cattani, ideatori del quotidiano, collaborò anche un giovane Guido Carli, futuro governatore della Banca d’Italia. Il direttore della testata voleva fare del giornale un dotto cenacolo e, supportato dalla penna fulminante di Ennio Flaiano e di Mario Ferrara, giornalista e principe del foro, varò le belle pagine letterarie. Cercava una «terza via» capace di appagare le esigenze di «cattolici, laburisti e repubblicani», di bacchettare il «fascismo manganellatore» dei nostalgici del ventennio e quello «omeopatico» della destra democristiana. Voleva sostenere forze di sinistra come il Pci. 

Il giornalismo nel sangue
Pannunzio, però, aveva nel sangue il giornalismo fatto d’inchieste e di scoop. Con una scelta assai audace pubblicò a puntate una bomba: Ho scelto la libertà, libro di Viktor Andreevich Kravchenko, ingegnere rifugiato in America che descriveva per la prima volta nel dopoguerra i campi di prigionia e i lavori forzati in Urss. Nell’acceso clima di guerra fredda, Kravchenko, accusato dal settimanale del Partito comunista francese Les lettres françaises di divulgare notizie false, denunciò la rivista e portò in tribunale centinaia di testimonianze. Come quella di Margarete Buber-Neumann, vedova di Neumann, leader comunista che rifugiatosi a Mosca dopo l’avvento del nazismo fu condannato a morte da Stalin. Margarete, invece, fu chiusa nel gulag e dopo il patto tra Hitler e Stalin, consegnata ai nazisti che la imprigionarono in un lager. Risorgimento liberale fu sempre animato da uno spirito d’irriverente indipendenza: scrisse del dramma delle foibe quando era ancora un argomento tabù e rivelò l’esistenza di migliaia di prigionieri italiani in Russia. Nel novembre 1947, quando il congresso del Pli sancì la vittoria dell’ala destra, Pannunzio, liberale di sinistra, disse addio al partito e alla direzione del quotidiano che circa un anno dopo chiuse. Pochi mesi più tardi nacque Il Mondo, foriero di nuove accanite battaglie contro i poteri forti, la corruzione e le mafie. Sostenuto ancora da Croce e da Einaudi, collaboratore sotto pseudonimo, il settimanale combatté per l’unità europea vista come garante della pace. Ospitò gli articoli di Gaetano Salvemini, Eugenio Scalfari, Indro Montanelli, Vitaliano Brancati, Alberto Moravia, Leonardo Sciascia e persino Thomas Mann e George Orwell. Pannunzio guardava, come disse Arbasino, «a un’Europa lontana… ma pensata e ripensata come un’antica agorà». Niente di più attuale.