La Stampa, 21 ottobre 2018
In manette 18 sicari di Khashoggi
Dopo oltre due settimane di silenzi e bugie i sauditi hanno ammesso di aver ucciso Jamal Khashoggi nel consolato di Istanbul, seppure «in una colluttazione» terminata con la morte per strangolamento del dissidente. Una versione che sembra bastare a Donald Trump ma non alla Turchia, pronta a «rivelare tutto» su quel pomeriggio di sangue del 2 ottobre, e neppure agli alleati europei, con la cancelliera tedesca Angela Merkel scettica e Danimarca e Olanda che chiedono «una inchiesta dell’Onu». L’indagine saudita è stata rapida, ha individuato «18 persone coinvolte», ora agli arresti, e la mente dell’operazione, cioè il numero due dell’Intelligence Ahmed al-Assiri. Cinque ufficiali a lui vicini sono stati «licenziati» e forse verranno incriminati. Quanto al corpo della vittima, è «stato affidato a un collaboratore locale» e Riad non sa dove sia finito.
Tutto si sarebbe svolto all’insaputa del principe ereditario Mohammed bin Salman. Una versione troppo comoda per essere convincente. Con una battuta, un oppositore ha osservato che l’inchiesta «sarà conclusa in tempi brevissimi, perché il principe ha predisposto l’autopsia quando Khashoggi era ancora in vita». Il punto è proprio la presenza di un medico legale militare, con tanto di segaossa, nel commando dei quindici incaricato di catturare l’editoralista del Washington Post. Soltanto uno dei tanti elementi in mano agli investigatori turchi. Ieri il Wp ha rivelato che la Cia ha potuto ascoltare l’audio «che prova che Khashoggi è stato ucciso e poi smembrato». Le autorità turche centellinano gli indizi, in una partita di propaganda e trattative politiche sia con i sauditi che con gli americani. Khalid al-Faisal, il consigliere più fidato di Re Salman, spedito a Istanbul l’11 ottobre per disinnescare la crisi, è tornato sconsolato. Il «New York Times» riferisce una sua conversazione con esponenti della casa reale: «È molto difficile che ne usciamo, da questa storia».
Gli inquirenti hanno reso pubblici nomi e volti dei 15 sicari. Molti dell’entourage del principe, su tutti Maher Abdulaziz Mutreb. Anche nei palazzi di Riad c’è la consapevolezza che è impossibile scagionare completamente Mbs. Il problema, fa notare ancora il Nyt, è che per la prima volta i sauditi «non possono cavarsi da un problema attraverso i soldi». Un altro fatto inedito è che un uomo ha concentrato tutto il potere nelle sue mani: «È il numero 1 e il numero 2» avrebbe detto un principe, alludendo al fatto che Re Salman non lo controlla più. Mbs, assediato dal malcontento degli altri rami della famiglia, gestisce il fronte interno con pugno di ferro, nel timore di un colpo come quello del ’64, quando un Re Saud venne estromesso dal fratello Faisal.
Il principe ha scatenato un esercito di «troll» sul Web, con il compito di dipingere Khashoggi come «un terrorista» e contrastare le rivelazioni turche con una narrativa «complottista», che è arrivata ad attribuire l’omicidio a «Hezbollah, l’Iran e il Qatar». Non può però bloccare le rivelazioni «a orologeria» che arrivano da Istanbul. I turchi hanno il coltello dalla parte del manico e intendono strappare dividendi politici, a partire dalla fine del blocco all’amico Qatar. Trump è propenso a un compromesso che salvi l’alleato saudita, indispensabile ai suoi piani anti-Iran. La versione della commissione d’inchiesta di Riad gli è apparsa «credibile». Ma la partita è all’inizio.