Corriere della Sera, 21 ottobre 2018
Il principe saudita e la repressione: il regime teme le sue stesse riforme
Un mese fa Mohammed bin Salman, principe ereditario e sovrano reggente dell’Arabia Saudita (il padre è molto malato) era un principe illuminato, l’uomo che non avrebbe più usato i redditi del petrolio per dare ai giovani una sinecura burocratica e che avrebbe investito somme favolose in un ambizioso programma di modernizzazione. Grazie a Mbs, come è familiarmente chiamato, le donne avrebbero goduto di maggiori diritti, e una nuova città, attrezzata con tutte le più recenti tecnologie, avrebbe richiamato nel suo Paese aziende e capitali stranieri. Sapevamo che si sarebbe scontrato con gli elementi più conservatori del clero musulmano e della sua sterminata famiglia (circa 5.000 cugini). Ma quando ne rinchiuse parecchie decine in uno dei più lussuosi alberghi della capitale del Regno, capimmo che avrebbe agito con una fermezza non priva di una certa capricciosa ironia.
Oggi, dopo la scomparsa e l’assassinio di un giornalista saudita che lo aveva criticato su un giornale americano, il profilo di Mohammed bin Salman è alquanto diverso. Il principe illuminato è diventato un tiranno crudele, pronto a sbarazzarsi di chiunque osi attraversargli la strada. È una reazione comprensibile. Jamal Khashoggi era un giornalista noto e stimato. La brutalità con cui è stato eliminato ha suscitato, e non poteva essere diversamente, rabbia e disgusto.
Ma se vogliamo cercare di comprendere che cosa è accaduto e sta accadendo in questa parte del mondo, dobbiamo tornare alle rivolte arabe degli scorsi anni. A un primo sguardo ci erano parse le comprensibili proteste di una nuova generazione. I giovani che riempivano le piazze di Tunisi, del Cairo, di Tripoli, di Bengasi e di Damasco sembravano fare richieste perfettamente compatibili con i valori e le aspirazioni delle società occidentali. Chiedevano più libertà e meno corruzione, volevano essere cittadini, non sudditi. Ma i risultati sono stati alquanto diversi. Con qualche eccezione (la Tunisia), le rivolte hanno sconvolto gli equilibri istituzionali di una buona parte della regione. In Egitto l’esercito, dopo la vittoria elettorale della Fratellanza musulmana, ha ripreso il controllo della situazione e ha instaurato un regime autoritario. In Libia la rivolta ha eliminato fisicamente il leader, risvegliato gli egoismi tribali e le antiche rivalità fra Tripolitania e Cirenaica, creato una situazione caotica. In Siria ha provocato una sanguinosa guerra civile. Non è sorprendente che uno spregiudicato riformatore arabo, oggi, sia preoccupato dalla possibilità che la modernizzazione possa avere per effetto la crisi del suo regime. Non è la prima volta. Come ha osservato un giornalista inglese, Lindsey Hilsum (The New York Review of Books, 11 ottobre 2018) Mbs sta probabilmente pensando alla sorte della Scià di Persia nel 1979 quando cercò di modernizzare l’Iran e finì per consegnarlo nella mani degli ayatollah.