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 2018  ottobre 18 Giovedì calendario

Biografia di John le Carré

John le Carré (David John Moore Cornwell), nato a Poole (Dorset, Inghilterra) il 19 ottobre 1931 (87 anni). Scrittore. Ex agente segreto. «Io non sono una spia che scrive romanzi, ma uno scrittore che, per un breve periodo della sua vita, ha fatto la spia» • «Era figlio di un truffatore. Suo padre, Ronnie Cornwell, era amico dei famigerati e fotogenici banditi londinesi, i gemelli Kray. Scontò una condanna in carcere per una frode nei confronti di una compagnia di assicurazione e, per dirla con le parole di Le Carré, “non faceva che progettare ed escogitare sistemi illegali per guadagnarsi da vivere”. “All’apice della sua carriera di malfattore possedeva un ippodromo a Maisons-Laffitte, fuori Parigi, e lo si poteva incontrare a Monte Carlo all’Hôtel de Paris in compagnia del sindaco di Londra”, ricorda. “Ebbe una vita molto avventurosa. Certo quando le cose andavano male la polizia veniva a cercarlo a casa, e noi nascondevamo le auto dietro la casa e spegnevamo tutte le luci”. La vita del giovane Le Carré era piena di imprevisti: “Mio fratello e io dovevamo spesso cambiare casa in tutta fretta. Capitava sovente di rimanere senza denaro. Le poche volte che nostro padre era a casa pretendeva di essere il centro dell’attenzione. Chiunque si azzardasse a leggere un libro veniva immediatamente rimproverato”. Quando aveva cinque anni sua madre se ne andò e John fu spedito in collegio, dove rimase fino ai 16 anni. Di sua madre ha pochissimi ricordi: “Se qualche volta, come capita a tutti, sono stato crudele o cattivo, forse la causa va cercata nel fatto che da piccolo mi è mancato l’amore di una madre”. Prima di entrare a Oxford, nel 1952, aveva studiato lingue e aveva lavorato in Austria per l’intelligence militare come interprete dal tedesco durante gli interrogatori di disertori che passavano dal blocco comunista in Occidente» (Dwight Garner). «David Cornwell aveva iniziato a lavorare per i servizi segreti di sua maestà quasi per gioco. Nel 1948, all’età di sedici anni, aveva abbandonato una prestigiosa scuola privata per trasferirsi a Berna. Le public school inglesi, allora come oggi, erano fortemente classiste, e lui, figlio di un truffatore spesso squattrinato, trovava l’atmosfera opprimente. “Scelsi la libertà piuttosto che la repressione”, disse. Appena arrivato a Berna, si iscrisse all’università. […] A Berna conobbe due funzionari inglesi che gli chiesero di rendersi utile per il proprio Paese, e lui accettò. Il primo incarico consistette nel trascorrere diverse ore seduto in un parco di Ginevra, con un libro di Goethe aperto sulle ginocchia. Un passante gli chiese se avesse visto il suo cane, e la risposta concordata fu: “Sì, l’ho visto”. L’attività di spionaggio continuò sporadica negli anni dell’università» (Federico Varese). «A Oxford si laureò in lingue con il massimo dei voti e cominciò a lavorare per l’MI5. Poco dopo iniziò a scrivere il suo primo romanzo: Chiamata per il morto. Adorava il Security Service MI5: “Era come lavorare per un grande giornale. Gente divertentissima. Erano tutti molto anticonformisti, aperti, intelligenti e con strani interessi”. Nel 1960 fu trasferito all’MI6 e inviato a Bonn e Amburgo, dove si occupò di intercettazioni, interrogatori e formazione di agenti sul campo. I servizi non gli consentirono di pubblicare il suo primo romanzo con il suo vero nome, David Cornwell, così chiese all’editore di consigliargli uno pseudonimo. “Mi consigliò due monosillabi dal suono anglosassone, del tipo ‘Chunk Smith’ o ‘Hank Brown’”, dice Le Carré. “Io scelsi ‘Le Carré’. Dio solo sa perché o come mi era venuto in mente”» (Garner). «Scrivere libri era la mia valvola di sfogo. Avevo preso ad alzarmi di buon mattino e a scrivere sul treno che mi portava al lavoro. Fu un atto di protesta contro l’ambiente in cui ero immerso a quel tempo. Ero riuscito addirittura a crearmi il padre che non avevo mai avuto, un padre capace di stemperare e risolvere problemi. Mi riferisco a George Smiley, il protagonista dei miei romanzi. I miei superiori di allora, dell’ambasciata e dell’intelligence, si erano mostrati alquanto tolleranti e addirittura contenti del mio scribacchiare. Per me, pur continuando la vita di sempre, era una forma di dissenso. Fino al terzo libro, La spia che venne dal freddo. A quel tempo ero un giovane diplomatico a Bonn con incarichi segreti. Mi trovavo in visita a Norimberga quando Willy Brandt dichiarò in un discorso pubblico che l’intuito gli suggeriva che a Berlino stava per accadere qualcosa. Eravamo nell’agosto 1961. Quarantotto ore più tardi […] ci giunse notizia che a Berlino erano stati dispiegati i primi rotoli di filo spinato. In seguito trascorsi a Berlino alcuni giorni come osservatore. Tornato a casa, fui preso da un incontenibile accesso di rabbia. Se credessi in Dio, avrei potuto convincermi che la mia collera fosse un dono della Provvidenza. Avevo visto costruire il muro di un nuovo conflitto sulle ceneri della guerra appena spenta. Scrissi il nuovo libro in cinque settimane, senza quasi dormire né pensare ad altro» (ad Adam Michnik e Pawel Smolenski). «Il doppiogiochista e traditore Kim Philby, che Le Carré descriverà ne La talpa, aveva nel frattempo passato al Kgb l’identità di tutti i funzionari inglesi sotto copertura, inclusa quella di David. In ogni caso, con la pubblicazione de La spia che venne dal freddo (1963), David decise di dimettersi dal ministero degli Esteri e di dedicarsi interamente alla scrittura» (Varese). «Quando l’insperato ma clamoroso successo del suo terzo libro, La spia che venne dal freddo, lo costrinse a dare le dimissioni dai servizi, […] la fama gli rese anche difficile farsi degli amici nel suo nuovo campo, quello della letteratura. “Ero una anomalia. La maggior parte degli scrittori debbono lavorare duro per arrivare al successo. Per me era stato facilissimo. Non potevo mescolarmi agli altri scrittori e comportarmi come se niente fosse, perché la maggior parte di loro sudavano sette camicie per guadagnare un paio di migliaia di sterline l’anno”» (Garner). «John le Carré pubblicò nel 1974 il suo libro fondamentale, quello che ha cambiato le regole e il linguaggio della spy story, ha messo in forma romanzesca, e romantica, la ferita aperta di un Paese, ha raccontato un potere occulto che si sente tradito, che cerca il traditore e che scopre molto più marcio, in Inghilterra, di quello che immaginasse. Insomma, ecco La talpa. […] Da allora, anche per coloro a cui il genere e il libro non dicono molto, l’idioletto di John le Carré è entrato a far parte della lingua ufficiale. La talpa sappiamo cos’è. Il Circus, la sede del MI6, e cioè l’agenzia di spionaggio per l’estero, che nel romanzo Le Carré colloca a Cambridge Circus, è diventato più vero del vero MI6, ora traslocato a sud del Tamigi. Sarratt, la scuola per spie, è più celebre della sua Ersatz reale, nota ora come The Fort. E sono diventati modi di dire, tra gli adepti del culto, i “lampionai”, ovvero i responsabili della sorveglianza, i “cacciatori di teste”, ossia gli addetti ai lavori sporchi, i “babysitter”, cioè le guardie del corpo, i “calzolai”, cioè gli specialisti in documenti falsi… A quanto si racconta, La talpa come la conosciamo è la seconda versione del libro scritta da John le Carré. La prima, pare, non gli piaceva, e venne data alla fiamme. Poi, testardo e perfezionista, ecco Le Carré ricominciare, fino a tirar fuori un romanzo, nel suo genere e fuori dal suo genere, quasi perfetto, fin troppo denso di cultura, civiltà, eleganza, ironia, scrittura, malinconia. Un romanzo che spoglia la professione e la condizione umana della spia di ogni mistica, di ogni mistero, di ogni glamour. Altro che 007 e i Martini agitati e non mescolati. Tra fragilità umane e burocrazia, tra numeri, conti e scalini di carriera, tra ambiguità sessuale e tradimenti, la ricerca della talpa è più grigia ma più emozionante, umanamente, di una “chase” alla Fleming. Il suo protagonista, l’integerrimo George Smiley, il prototipo della persona che non ricorderò mai, piccolotto, rotondetto, mal vestito, umano troppo umano, tradito sistematicamente dalla moglie, è certo vicino alla realtà più del meraviglioso e sexy Sean Connery» (Irene Bignardi). «Nei primi anni ’60, quando Le Carré cominciava a scrivere, […] il tradimento dei “Cinque di Cambridge” capitanati da Kim Philby, agenti del servizio segreto inglese ma in realtà arruolati nello spionaggio sovietico, era materiale infiammabile. […] La spia che venne dal freddo (1963) resta celebre per la trama a orologeria, un meccanismo narrativo semplicemente perfetto. […] La talpa è il romanzo del 1974 giocato su più personaggi a tutto tondo, evocati nella filastrocca per bambini del titolo originale Tinker, Tailor, Soldier, Spy (“Calderaio, sarto, soldato, spia”). La caccia alla spia infiltrata nel servizio segreto inglese, il cosiddetto "Circus", richiama direttamente il tradimento dei "Cinque di Cambridge" degli anni ’60. […] L’onorevole scolaro (1977) è il romanzo imperniato su quello che forse resta il personaggio più commovente inventato da Le Carré. Il rapporto tra Jerry Westerby, l’onorevole scolaro del titolo, e George Smiley è il cuore di questo racconto spietato. Sullo sfondo, una Hong Kong vagamente esotica, dominata dagli intrighi e dal denaro. Tutti gli uomini di Smiley (1979) è il più proustiano dei libri di questa ideale quadrilogia. Qui Smiley e i suoi collaboratori, oltre che contro il nemico sovietico e l’inaffidabile alleato americano, si battono contro il tempo, la pungente nostalgia del passato. […] A questo Le Carré più famoso, cantore critico della Guerra fredda, segue uno scrittore meno classificabile. La spia perfetta del 1986 era già più un intenso dramma famigliare che una spy story, dove il tradimento passa di padre in figlio. Il libro divide i vecchi dai nuovi lettori di Le Carré. I primi smettono di seguirlo, sconcertati dalla trama troppo poco thrilling; i secondi si avvicinano a un autore di enorme popolarità sulla scia dei vecchi successi e delle trasposizioni cinematografiche dei suoi libri. È ovvio che il crollo del Muro di Berlino – il luogo dove finiva La spia che venne dal freddo – abbia un enorme impatto sull’immaginario dello scrittore. Il mondo del quale aveva descritto così bene crudeltà e intrighi, la cristallizzazione Ovest-Est che sembrava destinata a durare per sempre, va in pezzi in una sola notte. Ne sarà la riprova La Casa Russia, che esce proprio nel 1989, l’anno del collasso delle dittature comuniste europee. Un romanzo debole e di sicuro fuori tempo massimo. Un cambio di passo è necessario, cosa che peraltro lo scrittore aveva già probabilmente compreso nel 1983 con la pubblicazione di La tamburina, il romanzo precedente a La spia perfetta e incentrato sul conflitto israelo-palestinese, che non è certo uno dei suoi migliori. […] Dagli anni ’90 Le Carré si dedica a cercare nuovi fondali sui quali proiettare l’ambiguità dell’essere umano. […] Da questa ricerca scaturisce una serie discontinua di romanzi nei quali l’autore cerca, pur restando fedele al mondo dello spionaggio, di inserire nuove trame e fondali. C’è la guerra in Caucaso in La passione del nostro tempo del 1995, lo Stato di Panama in Il sarto di Panama del 1996, l’Africa corrotta e inguaribile in Il canto della missione del 2006. A questi e altri lavori di secondo piano un ritrovato Le Carré può comunque contrapporre due romanzi d’impatto. Single & Single del 1999 prende di petto la collusione della finanza internazionale e dei grandi studi di avvocati con gli ambienti mafiosi. […] Il giardiniere tenace affonda il coltello nelle multinazionali di Big Pharma, pronte a uccidere su larga scala per vendere una pasticca, un medicinale, un vaccino in più. Luogo del delitto di massa, un continente africano dove i servizi segreti occidentali lavorano non più al servizio di un’ideologia ma del denaro, e ovviamente non importa quanto questo denaro sia sporco. È forse anche grazie a questi libri che l’ultimo Le Carré sembra aver ritrovato un certo slancio. Lo dimostrano i tre romanzi pubblicati tra il 2008 e il 2013, Yssa il buono, Il nostro traditore tipo e Una verità delicata. Le Carré è tornato alle sue storie-tipo, con tanto di agenti segreti dei servizi inglesi, dirigenti Cia e oligarchi russi dalla dubbia fortuna. Lo sfondo non è più quello della Guerra fredda, naturalmente, ma la società globale del capitalismo selvaggio, satura di bugie trasmesse dai media per un elettorato sempre più cieco» (Silvio Bernelli). «Da quando gli è crollato sotto gli occhi il Muro di Berlino, e l’impero del male comunista non esiste più, John le Carré ha trovato un nuovo nemico negli Stati Uniti. Un triste voltafaccia, che va di pari passo con la debolezza delle trame. Multinazionali e Cia sono i nuovi (e banalissimi) nemici» (Mariarosa Mancuso). Nel 2016 è stata pubblicata la sua autobiografia Tiro al piccione, mentre l’anno successivo, col romanzo Un passato da spia, ha visto il ritorno in scena del suo personaggio più amato, l’ormai ultracentenario George Smiley, a 27 anni dalla sua ottava e ultima apparizione (ne Il visitatore segreto, del 1990). «Nella trama troviamo Peter Guillam, fedele collega e discepolo di George Smiley al MI6 ormai in pensione, che si vede recapitare una lettera dei servizi segreti. È una convocazione: l’intelligence ha bisogno dello sguardo e dell’esperienza di veterani come Guillam e Smiley, per aiutare una nuova generazione di spie che non ha vissuto la Guerra fredda, in difficoltà in un mondo caotico in cui gli avversari sono sempre più ambigui» (Andrea Bressa). «In ogni modo, questa è l’ultima volta che Smiley compare in un mio romanzo. È davvero troppo vecchio per andare avanti» • «All’inizio della sua carriera, la diffusione della sua nuova visione della letteratura di spionaggio è stata aiutata immensamente dal regolare adattamento cinematografico dei suoi libri, iniziato con il cupo film anglo-americano brillantemente diretto da Martin Ritt tratto da La spia che venne dal freddo, girato nel 1964 e distribuito nel 1965. […] Da allora abbiamo assistito a tanti adattamenti, ottimi, mediocri e talvolta scarsi, dei libri di Le Carré, […] cui l’autore stesso ha partecipato in vari ruoli, ottenendo un crescente controllo creativo nel corso degli anni» (Adrian Wootton). «Le Carré si diverte anche a fare piccole apparizioni come attore, celandosi in alcune occasioni dietro il suo vero nome nei credits» (Max Borg). Numerose anche le trasposizioni radiofoniche e televisive, tra cui le due fortunate serie della Bbc del 1979 e del 1982 in cui Smiley è magistralmente interpretato da Alec Guinness • Tre figli dalla prima moglie, uno (Nicholas, a propria volta scrittore con lo pseudonimo di Nick Harkaway) dalla seconda, con cui vive da oltre quarant’anni in una villa-fattoria sulla costa della Cornovaglia • «Le Carré scrive a mano con una biro, corregge (molto), aggiunge dettagli e modifiche su striscioline di carta che vengono incollate o pinzate sul foglio principale. Risulta poi che la paziente ed angelica moglie, Jane, ribatta il tutto in una forma consultabile da editor ed editori» (Bignardi). «Continuerò a scrivere finché potrò, anche senza pubblicare. Fa parte della mia quotidianità. Quando termino un libro, comincio subito quello successivo. […] Inizia tutto dai due o tre personaggi che ho in testa. Posso avere un’idea generale, mentre la trama nel suo dettaglio emerge solo durante la scrittura. Ma fin da subito conosco l’immagine finale che voglio raggiungere con il libro, e la ricerco attraverso la storia». «Sono stato ovunque per raccogliere informazioni per i miei libri. Ho incontrato chiunque avesse qualcosa da dirmi, millantatori o capi. Sempre a disposizione, a qualsiasi ora del giorno e della notte. La regola era trascrivere tutto, il prima possibile, per non dimenticare nulla. D’altronde, essere una spia non è poi così diverso dallo scrivere libri». «Ho smesso da tempo di leggere i critici. Le recensioni negative ti inducono al suicidio. Le positive ti fanno credere un dio. Un tale a un party mi ha detto: mi scusi, io non leggo i suoi libri perché non leggo i romanzi di spionaggio. Avrei voluto rispondergli: non legge neanche Conrad perché non legge romanzi di mare?» • «La fine della Guerra fredda è stata una grande occasione clamorosamente fallita dall’Occidente, e adesso ne stiamo pagando il prezzo. Non c’è stato alcun Piano Marshall per la Russia, che anzi è stata umiliata. E il risultato è una Russia stalinista e autocratica, una cleptocrazia». «Sì, sono nostalgico della Guerra fredda. Perché a quei tempi avevamo delle speranze per il giorno in cui sarebbe finita e avremmo ricostruito il mondo. Perché i contendenti si muovevano all’interno, grosso modo, dello stesso sistema culturale. Ora il potere si sta spostando verso Est e capiamo sempre meno i nostri interlocutori. No, è difficile vedere vie d’uscita» • «Se guardo all’arco della mia vita, vedo che è stata una continua serie di impegni e di fughe. Che io stessi insegnando o che stessi lavorando per il mondo dello spionaggio, tutto mi è stato offerto in modo che potessi prima abbracciare e poi fuggire le situazioni che avevo scelto. Finché non ho scoperto la scrittura: e la scrittura è un luogo da cui non posso più fuggire». «Smiley è il meglio di me: ammiro il suo senso del dovere, il suo impegno e la responsabilità che sente verso il prossimo. Siamo cresciuti assieme, io e Smiley: era presente nella prima pagina del mio primo romanzo. Ma, quando è diventato troppo famoso, l’ho accantonato». «Sono sicuramente vecchio quanto Smiley, ma spero di avere ancora un altro romanzo dentro di me. Non voglio continuare a pubblicare all’infinito, intendo fermarmi prima che la qualità declini. Conto su una cerchia di persone che mi direbbero: fai meglio a smettere. Ma non smetterei comunque di scrivere. È l’unica cosa che so fare. Non posso vivere senza».