la Repubblica, 13 ottobre 2018
Alitalia-Fs, un matrimonio con pochi vantaggi e molti rischi
Il governo gialloverde sfida i confini (e la logica) dei cieli lanciando – primo e unico esperimento del genere al mondo – le nozze societarie tra treni e aerei. Varando con l’ingresso di Fs in Alitalia un’operazione a carico di contribuenti e pendolari che rischia di mettere nei guai le ferrovie tricolori senza risolvere i problemi della compagnia di bandiera.
L’asse tra ali e rotaie, intendiamoci, non è un’eresia. Anzi. Nell’era della intermodalità molti vettori hanno raggiunto accordi con gli operatori su rotaia nei singoli paesi per lanciare offerte uniche. Quelle cioè in cui comprando il biglietto dell’aereo si acquista in un’unica transazione anche quello del treno fino alla destinazione finale.
Consentendoti magari di fare check-in in stazione. L’ha fatto Lufthansa con Deutsche Bahn, Air France con Sncf, la Tap con Pendular e Interciclades, la Swiss con le Ffs. In Italia, senza troppe fanfare, lo fa già la Emirates che offre i servizi congiunti con Trenitalia.
Si tratta però di intese commerciali. Come quelle che gli aeroporti fanno con le compagnie di autonoleggio e quelle di bus, senza che nessuno si sia mai sognato di consolidare questi servizi con un accordo azionario. Una forzatura – dice scherzando Andrea Giuricin, professore all’Università Bicocca – «che non sta né in cielo né in terra, perché tra treni e aerei non ci sono sinergie salvo forse qualche aspetto amministrativo».
Le nozze tra Fs e Alitalia nel nome «dell’intermodalità», come ha detto il vicepremier Luigi Di Maio, hanno oltretutto in sé qualcosa di paradossale: l’Italia è l’unico paese – non certo per colpa dell’attuale governo – che ha costruito l’alta velocità senza prevedere collegamenti agli aeroporti. Un buco nella rete che annacqua di molto tutti i possibili vantaggi di un accordo anche solo commerciale.
L’idea di affogare i guai di Alitalia nel mare magnum dei conti delle Fs (partecipate al 100% dal Tesoro e beneficiarie ogni anno di oltre 3 miliardi di euro di soldi pubblici) porta con sè un altro rischio: «Quello di salvare l’aerolinea con i soldi dei pendolari», come dice Giuricin.
Fs, tanto per iniziare, dovrà mettere soldi contanti per entrare nel capitale della compagnia. E secondo il tam-tam di settore potrebbe essere “convinta” (obtorto collo) ad assorbire un migliaio di dipendenti in esubero del vettore. Poi dovrà farsi carico della quota parte di perdite dell’aerolinea (che ad oggi brucia oltre un milione al giorno) e dei fondi – si dice circa tre miliardi – necessari per rinnovare la flotta e rilanciare i servizi a lungo raggio, magari con l’aiuto (sempre pubblico) di Cassa depositi e prestiti. Un tesoretto che rischia di sfilare risorse dagli investimenti su treni e rete. Non solo. Il rischio (se le Ferrovie avranno la maggioranza di Alitalia) è quello di dovere consolidare il debito facendo scivolare il rating del gruppo e rendendo molto più oneroso il piano da 6 miliardi di spesa per sostituire tutti i treni pendolari – ne sono stati già ordinati 450 e le consegne inizieranno a maggio – con più di dieci anni d’età. Fino a qualche mese fa in effetti le Ferrovie sono riuscite a collocare bond sul mercato a prezzi decisamente molto vantaggiosi. L’ultima obbligazione aveva un margine di 87 punti base, più favorevole di quello di Cdp, per dare un’idea, termometro dell’affidabilità della società.
Le prossime emissioni rischiano di includere nel prezzo un rischio-Alitalia che alzerà di moltissimo il costo. Cui, visto i chiari di luna sullo spread, va aggiunto anche il rischio-paese. I margini di manovra di Fs sul fronte della liquidità non sono del resto molti. Il gruppo ha sette miliardi di debiti, la leva finanziaria è già molto tirata. E se si sposta in cielo il tesoretto che era destinato a locomotori e vagoni, il rischio che la coperta sia alla fine troppo corta è altissimo.