La Stampa, 13 ottobre 2018
Il Canton Ticino contro i frontalieri
Alle 17.30, a Chiasso c’è la solita coda di frontalieri che tornano a casa, in Italia, dopo una giornata di lavoro in Svizzera. «Basta un rosso per allungarla. Anche perché adesso gli svizzeri hanno messo il limite degli 80 sull’autostrada da Chiasso a Lugano e così non ci si muove più», racconta Eros Sebastiani, fondatore e vicepresidente dell’Associazione Frontalieri Ticino.
La notizia è che per la prima volta in Canton Ticino i lavoratori svizzeri sono meno di quelli stranieri. Dati dell’Ufficio di statistica cantonale, riferiti al ’17: su 235.800 occupati, i nazionali erano 117.500, gli stranieri 118.300, rispettivamente il 49,8 e il 50,2%. Dieci anni fa, era l’inverso: 55,4% di svizzeri, 44,6 di stranieri. I frontalieri italiani sono il 27,5. Gli altri sono stranieri residenti o domiciliati nel Cantone, secondo i vari permessi previsti dalla puntigliosa legislazione elvetica.
Sta di fatto che la tradizionale operosità lombarda ha tracimato oltre frontiera: una pacifica invasione del lavoro. In numeri assoluti, i frontalieri italiani sono 65 mila, provenienti per la maggior parte dalle provincie di Varese, 26 mila, e Como, 24 mila. In controtendenza la decisione della multinazionale del lusso Kering, che ha deciso di trasferire in Italia 150 dipendenti dalla sua piattaforma logistica nella «fashion valley» ticinese. Ma si tratta dell’eccezione che conferma la regola, e il gruppo ha spiegato che «continua a impiegare oltre 800 persone in Ticino».
Resta il fatto che l’economia del più meridionale dei cantoni svizzeri si regge sul lavoro di chi svizzero non è. E qui il problema diventa da economico a politico. Perché in Ticino, da tempo, cresce l’insofferenza per l’«invasione» e, di conseguenza, il consenso per i due partiti che la cavalcano, l’Udc, Unione democratica di Centro, di fatto piuttosto a destra, e la Lega dei Ticinesi. Ed è chiaro che questa statistica getta ulteriore benzina sul fuoco.
«I dati? Bisogna anche vedere come si leggono. I lavoratori stranieri portano ricchezza e sviluppo - obietta Sebastiani -. Ma certamente sarà nuovo materiale per la campagna “prima i nostri” di Lega e Udc». Siete preoccupati? «Per alcune prossime scadenze elettorali, sì. Si va verso l’ignoto. Però una cosa è certa: senza lavoratori stranieri, qui l’economia si ferma».
In effetti il primo appuntamento con le urne è quello del 25 novembre quando, secondo le secolari usanze della democrazia elvetica, verranno sottoposti agli elettori tre quesiti. Quello significativo è incentrato sull’«autodeterminazione»: riassumendo rozzamente, sulla prevalenza del diritto svizzero su quello internazionale (fra parentesi, pare meravigliosa un’altra domanda, sull’inserimento della «dignità degli animali da reddito agricoli» nella Costituzione. E’ il referendum noto come «per le vacche con le corna». In pratica, si tratta di riconoscere a un sussidio ai contadini che per stiparli meglio nelle stalle non taglino le corna «a vacche, tori, capre e becchi». Si sa che in Svizzera la vacca è più sacra che in India).
In ogni caso, qualche motivo di inquietudine Sebastiani fa bene ad averlo. Roberta Pantani, vicesindaca leghista di Chiasso e deputata a Berna, ce l’ha con il trattato di libera circolazione delle persone firmato dalla Confederazione con la Ue: «Ha avuto un effetto di sostituzione. I lavoratori stranieri aumentano non perché aumentino i posti, ma perché i ticinesi perdono i loro». Il lavoro degli stranieri, in effetti, costa meno. «E noi reagiamo con la “preferenza indigena”». Detta così, sembra di vedere il valligiano con le corna in testa, magari quelle tagliate alle vacche. «In realtà è molto semplice: se c’è un posto di lavoro, dev’essere offerto prima a uno svizzero e poi, solo se resta scoperto, a uno straniero. È la campagna di iniziativa popolare “Prima i nostri” che ha già vinto in Ticino e il prossimo anno sarà discussa a livello federale».
Insomma, la statistica allungherà un contenzioso italo-svizzero che già sembra complesso. Perché c’è anche la questione di Campione, l’exclave italiana in dissesto finanziario che gli svizzeri vorrebbero annettere. «Il debito del Comune di Campione verso il Cantone supera i 3 milioni di franchi, molti campionesi risiedono già in Svizzera, potremmo chiedere loro cosa ne pensano. Se desiderano diventare svizzeri, perché no?», la butta lì Marco Romano, deputato del moderatissimo Ppd, la Dc elvetica. Beh, allora a questo punto prendetevi anche Milano, dove ne sarebbero tutti felici... «No, preferirei la Sardegna, così finalmente la Svizzera avrebbe anche il mare...».