La Stampa, 13 ottobre 2018
Quota 100 costa per 8 miliardi in più
Il governo ha messo in conto di stanziare 8 miliardi di euro nel bilancio 2019 per introdurre l’ormai famigerata «Quota 100» e consentire a chi ha raggiunto 38 anni di contributi di andare in pensione a 62 anni anziché a 67. Ma c’è un altro costo da temere in considerazione, non indifferente, che la Ragioneria dello Stato non ha quantificato, perché si è limitata a calcolare il costo dei nuovi assegni depurati del prelievo Irpef, e che nemmeno l’Ufficio parlamentare di bilancio ha segnalato come possibile ulteriore fattore di criticità. Gli 8 miliardi di cui si parla corrispondono infatti esclusivamente ai maggiori costi legati a 400mila pensioni in più da pagare a fronte di una media di 22-23mila euro per i lavoratori dipendenti del comparto privato e di 28-29mila per il settore pubblico. Nulla si dice del buco che si verrebbe a creare alla voce entrate venendo a mancare il prelievo contributivo e fiscale su una quota tanto significativa di lavoratori. E’ vero che il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si aspetta che per ogni uscita le aziende, a partire da quelle pubbliche, assumano due giovani. Ma nemmeno un tasso di sostituzione alla pari, uno contro uno, appare realistico ed in grado di chiudere questa falla che sfiora gli 8 miliardi raddoppiando di fatto il costo di «Quota 100».
Il sogno di Di Maio
Le aziende sembrano infatti orientate ad assumere al massimo 4 giovani ogni 10 «over 62» che se ne vanno. Il che fa innanzitutto cadere uno degli argomenti sbandierati negli ultimi tempi da Di Maio e da Salvini, con quest’ultimo che poi in parte s’è corretto, ovvero che in questo modo si possono creare 400mila posti di lavoro in più. Al massimo, con un cambio 1 a 1, riusciremo infatti a mantenere gli attuali livelli occupazionali, e certo non si potrà dire che l’occupazione aumenta. Stando alle previsioni delle aziende di Stato, aziende forti, che hanno in programma importanti piani di sviluppo, il tasso di sostituzione sarà al massimo attorno al 40%, con 4 nuovi assunti ogni 10. Col risultato che avremo sì 160mila nuovi occupati, e questo contribuirà certamente ad alleviare la disoccupazione giovanile, ma di contro altri 240mila posti andranno persi. Distrutti.
Tutto questo genera notevoli impatti sui conti. Secondo i dati forniti a fine settembre dal presidente dell’Inps con «Quota 100» si mandano in pensione persone che in media «guadagnano 36 mila euro lordi l’anno, mentre un giovane assunto con contratto a tempo indeterminato, cosa molto rara, avrà una retribuzione di 18.000 euro». Con effetti molto pesanti sul gettito fiscale e contributivo. Perché al pensionando sui suoi 36 mila euro di stipendio si applica una aliquota del 22/23% e quindi ne paga 8mila di Irpef. Il neo assunto, tenendo conto anche del bonus da 80 euro, di Irpef paga il 6% e quindi versa 1000 euro. Poi ci sono i contributi: il lavoratore «anziano» che percepisce 36mila euro, compresa la quota della sua azienda fa incassare ad Inps ed Inail 14mila euro; il giovane o che percepisce 18mila euro in teoria dovrebbe pagare la metà, ma in realtà tra contratti di apprendistato ed esoneri contributivi vari versa molto meno. In questo caso è difficile fare stime precise, ma anche stando larghi e calcolando 6 mila euro si creerebbe un forte squilibrio: a fronte dei 22 mila euro tra entrate contributive e previdenziali che produce un lavoratore anziano, il giovane che lo sostituisce si ferma a 7 mila. Nel cambio 1 a 1 si perdono così 15 mila euro di entrate ogni lavoratore. Tutto questo moltiplicato per 400mila, nell’ipotesi improbabile che si realizzasse una sostituzione al 100%, genererebbe un buco di 6 miliardi. Se invece il tasso di sostituzione fosse del 50% il conto salirebbe a 7,4 e a 8 col 30%.
Effetto devastante
L’effetto di «Quota 100», insomma, rischia di essere molto più pesante del previsto per le casse dello Stato: oltre ai 100 miliardi di maggior debito pensionistico stimate dal presidente dell’Inps Tito Boeri, e che hanno scatenato la solita furia del governo, ed oltre agli 8 miliardi contabilizzati nella legge di Bilancio, ce ne sono altri 6/7,5 se non di più che per ora restano nascosti sotto il tappeto. Più altri 7,5 miliardi, ma in questo caso una tantum e rateizzabili in 5 anni, da reperire per corrispondere i trattamenti di fine rapporto e di fine servizio a circa 150mila statali che potrebbero approfittare delle uscite anticipate.
Il calo degli occupati poi inevitabilmente si riverbererà sulle medie degli occupati e sugli altri indicatori che sono da sempre all’attenzione degli investitori internazionali per cui nel complesso, secondo alcuni osservatori, l’operazione «Quota 100» può avere effetti «davvero devastanti».